Bruno Canova, “Mai più”, Giorno della Memoria 2017

Quest’anno il mio lavoro su Arte e Shoah In occasione del Giorno della Memoria sarà diverso da quello delle edizioni precedenti: non più una collettiva di artisti contemporanei ma una monografica di un autore storicizzato.

La mostra che ho curato e che sarà allestita a Palazzo dei Principi di Correggio dal 22 gennaio al 26 febbraio 2017 negli spazi espositivi del Museo Il Correggio sarà una personale di Bruno Canova.

L’esposizione fa parte di un progetto internazionale, curato da me e da Lorenzo Canova, che vede coinvolto l’Istituto di Cultura Italiana di Lisbona che ospiterà, in contemporanea alla mostra di Correggio, disegni e grafiche dello stesso autore.

bruno-banovaBruno Canova (1925 – 2012) è stato un grande interprete dell’arte italiana che ha vissuto la terribile esperienza del campo di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale. La mostra indagherà un aspetto in particolare della Shoah attraverso le opere di chi ha vissuto la guerra e la persecuzione in prima persona. Un approccio del tutto nuovo per esplorare ogni modo in cui l’arte può essere interprete e portavoce della storia.

Artista militante e antifascista, attivo nella Resistenza partigiana e per questo arrestato e deportato come prigioniero politico nel campo di concentramento di Brüx nel Sudetenland, Canova, nonostante il vissuto personale di oppositore politico, non ha messo solo il suo vissuto personale al centro del suo lavoro, ma ha dedicato molto spazio, nel suo narrare, alla persecuzione antiebraica. La maggior parte delle opere in mostra appartengono a un ciclo unitario di dipinti intitolato “L’arte della Guerra”, il cui nucleo principale risale agli anni ’70.  Si tratta di opere di medie e grandi dimensioni, fra le quali si distinguono numerosi collage realizzati con documenti, quotidiani e manifesti dell’epoca che danno al lavoro un taglio quasi scientifico.

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Bruno Canova, La Cosa immonda, 1974, collage, acrilico e tecnica mista su tela, cm. 153 x 222

Attraverso le opere di Canova è possibile trovare l’intera parabola di nascita, sviluppo e fine del Nazifascismo.

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Bruno Canova, La strage degli innocenti 2 (Grande Natura Morta), 1990, acrilico su tela, cm. 200 x 200

Il linguaggio artistico fortemente espressionista di Canova si intreccia ai documenti storici e ai ricordi personali in opere alle quali è impossibile sottrarre gli occhi e la coscienza. Nelle sue opere si trovano echi delle avanguardie di inizio Novecento, di Hieronymus Bosch e dei suoi quadri brulicanti di figure mostruose e disperate, della Neue Sachlichkeit ma anche dello stile degli amici e compagni con cui ha condiviso pittura e ideali: Renzo Vespignani, Mario Mafai,  Antonietta Raphaël. Quello di Canova è un simbolismo non onirico ma storico e  bellico al cui servizio è stata declinata la tecnica del collage, impiegata solitamente da movimenti artistici dai contenuti molto distanti da questo, come il futurismo e il dadaismo.

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Bruno Canova, 1938, 1973, collage, acrilico e tecnica  mista su masonite, cornice intagliata, cm. 186 x 123

Le opere di Bruno Canova sono dirette e senza compromessi, attingono trasversalmente a tecniche e riferimenti storico artistici, restano impresse a lungo negli occhi e nella memoria tenendo viva una pagina di Storia che non dev’essere dimenticata e allo stesso tempo aprono un discorso più ampio sulla guerra e sulle sue conseguenze.

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Bruno Canova, tavola del libro “L’arte della guerra”, 1969-1972, grafite e tecnica mista su carta applicata su lastre di zinco, cm. 35 x 50

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Bruno Canova, tavola del libro “l’arte della guerra”, 1969-1972, grafite e tecnica mista su carta applicata su lastre di zinco, cm 35 x 50

 

 

Correggio e Parmigianino, Arte a Parma nel Cinquecento

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Due opere del Correggio, La Pietà e il disegno per il parapetto della Cattedrale di Parma, di proprietà  della Fondazione “Il Correggio”, della quale ho l’onore di essere vice-presidente, sono presenti alla mostra “Correggio e Parmigianino, arte a Parma nel Cinquecento” dal 12 marzo al 26 giugno 2016 alle Scuderie del Quirinale di Roma.

La mostra, della quale la Fondazione è uno degli enti patrocinatori, è curata da David Ekserdjian, uno dei più importanti studiosi del Correggio e si preannuncia un grande successo, con opere incredibili provenienti da mezzo mondo.

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La Pietà (olio su tavola, cm. 34,2 x 29,2) è un’opera giovanile, databile indicativamente fra il 1518 e il 1520. Acerba per alcuni versi ma estremamente raffinata per altri. Il primo aspetto che balza all’occhio è la narrazione affettiva del soggetto, nella quale Correggio era maestro e grazie alla quale si è distinto su tutti i suoi contemporanei. Il soggetto deriva direttamente dalla tipologia del Vesperbild tedesco, la raffigurazione della Madonna con in grembo il corpo del Cristo morto, poco diffusa in Italia fra fine Quattrocento e inizio Cinquecento e trattata da Correggio in questa piccola tavola ad uso devozionale, con grande intimità, ponendo l’accento più sul legame umano fra Maria e Cristo che sul loro ruolo divino. In particolare la vicinanza dei volti fra i due personaggi è un elemento nuovo in questo tipo di raffigurazione come anche il modo della Vergine di sorreggere la gambe del figlio, accavallando la destra sulla sinistra per non fare scivolare il corpo. Entrambi i gesti sono un modo di Maria di stringere a sé il figlio privo di vita in un ultimo, toccante abbraccio.

Un altro elemento imprescindibile di quest’opera è il paesaggio sullo sfondo: uno squarcio di luce che illumina la scena piuttosto cupa. Il fondo arboreo del dipinto si apre, sulla sinistra in una veduta chiara e nebbiosa, composta per velature delicate, che rivela il debito del Correggio con la pittura di Leonardo da Vinci.

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Lo Studio per il parapetto della Cattedrale di Parma, un piccolo disegno a sanguigna e inchiostri su carta, oltre ad essere un documento  del “making of” del capolavoro epocale del Correggio maturo, la cupola affrescata del Duomo di Parma, ci mostra la straordinaria abilità dell’Allegri disegnatore.

Il Correggio, noto per il suo colorire, mostra in quest’opera tutta la sua padronanza del disegno e della composizione, rivelando di essere un artista completo, padrone dei volumi corporei e di un tratto morbido e deciso allo stesso tempo.

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I due prestiti della Fondazione Il Correggio alla mostra romana dunque aprono e chiudono la parabola artistica del Correggio, accompagnandoci dalla sua giovinezza alla sua maturità attraverso strumenti espressivi diversi, nella conoscenza di questo colosso del Rinascimento.

Un’altra opera presente in mostra, alla quale la nostra Fondazione è particolarmente legata, è “Il Creatore in gloria fra gli angeli”, dei Musei Vaticani. La tela, cimasa del Trittico di Santa Maria della Misericordia, smembrato e disperso, per la prima volta esce dai Musei Vaticani per una mostra come originale del Correggio e non più come “maniera del Correggio” dopo la nostra riattribuzione.

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Fra gli sponsor della mostra non si può non citare Webranking, azienda leader nel search marketing con base a Correggio, che ha creduto nel sostegno della cultura e delle eccellenze artistiche del territorio.

 

HYENA SOLO SHOW2001-2016, quindici anni di opere

 

 

Dieci anni insieme a un artista sono tanti e in un decennio si impara a conoscersi davvero bene.

Ho iniziato a lavorare con Hyena nel 2006. Ho visto nascere il suo lavoro, discusso fino a tarda ora di nuovi progetti, scritto tantissimi testi critici, comprato e venduto non so più quante opere.

Hyena ha tutte le caratteristiche che deve avere un artista di successo:

– ha una grande curiosità accompagnata da una cultura multidisciplinare che spazia dalla pittura, al cinema alla musica, fino alla poesia

– ha uno stile definito che si riconosce fra mille tentativi di imitazione e che sa rinnovarsi pur rimanendo fedele a sé stesso

– è un vero professionista, serio, concreto e affidabile (perché con la formula “genio e sregolatezza” non si va da nessuna parte)

Seguire un artista nella doppia veste di critico e mercante è un’ esperienza ricca e varia il cui esito naturale non poteva che essere una mostra monografica per celebrare i suoi primi 15 anni di carriera.

“Hyena Solo Show, 2001 – 2016, quindici anni di opere” è un percorso che si snoda attraverso tutti i capitoli principali della storia di Hyena.

La mostra si apre con “Catone e la Route 181”, progetto con il quale Hyena mosse i primi passi nell’arte contemporanea, con scatti realizzati nel sud della Francia, a Saintes-Maries-de-la-Mer, durante il raduno dei gitani per la festa di Santa Sara nel 2001.

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Catone e la Route 181, 2003, tecnica mista su metallo, cm. 75 x 100

Ampio spazio è dedicato alle serie sul nudo femminile che hanno reso famoso l’artista e che celebrano la donna sotto diversi aspetti, da quello di “dea madre” a quella di “compagna e amante”.

Hyena, 70100, Venere XXI, 2006, tecnica mista su juta, 150 x 100

Venere XXI, 2006, tecnica mista su juta, 150 x 100

Presenti, inoltre, opere della serie “Landscape”, che coniuga suggestioni padane con il paesaggismo giapponese passando attraverso echi nordeuropei,

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Landscape, 2010, tecnica mista su tela, 80 x 120

accanto alle opere della suggestiva serie “Roots” con i suoi alberi dalle radici fluttuanti nel vuoto

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Roots, 2009, tecnica mista su tela, cm. 130 x 90

La passione per la musica, che da sempre accompagna Hyena accanto a quella per la fotografia, ha dato vita alla serie “II/IV/I” dedicata al jazz e alla danza contemporanea con le prime opere che contengono movimento e un accenno di colore.

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Senza titolo, 2008, tecnica mista su tela, cm. 120 x 100

Hyena, 80103, MMVIII, pag 31, 2008, 120 x 100 x mail

Senza titolo, 2008, tecnica mista su tela, cm. 120 x 100

Ultimo lavoro, infine, la serie “Vanitas”, nature morte di ispirazione rinascimentale che riflettono sulla caducità della vita.

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Vanitas, 20016, tecnica mista su tela, cm. 80 x 80

In mostra ho dato spazio anche a anche diverse curiosità, importanti nel percorso artistico di Hyena, dai libri d’artista a video e cortometraggi.

Hanno sostenuto la mostra Comune di Correggio, Galleria de’ Bonis, Banca Generali Private Financial Planner

Non vi resta che andarla a vedere.

Hyena, Solo Show

2001 – 2016, quindici anni di opere

A cura di Margherita Fontanesi

Museo “Il Correggio”, Palazzo dei Principi, C.so Cavour, 7, Correggio (RE)

27 febbraio – 27 marzo 2016

Orari di apertura: sabato 15,30-18,30, domenica 10-12,30 e 15,30-18,30, gli altri giorni su appuntamento.

Catalogo disponibile in mostra.

Info: tel. 0522 691806, museo@comune.correggio.re.it, http://www.museoilcorreggio.org

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Il Segreto dei Giusti

 

Da dove nasce una mostra?

Questa in particolare è nata da un luogo: il Giardino dei Giusti del museo Yad Vashem di Gerusalemme, Il Memoriale per la Shoah, dove ho incontrato le storie di uomini che hanno rischiato la vita per salvare altri uomini.

Poi l’idea di questa mostra si è rafforzata con la lettura di un libro: “La bontà insensata, il segreto degli uomini Giusti” di Gabriele Nissim che sonda il confine fra eroismo e normalità affrontando tante storie di vite strappate alla Shoah.

Infine si è sviluppata con l’incontro di artisti e galleristi speciali che mi hanno prestato o prodotto per questa occasione opere stupende con le quali abbiamo messo in luce quello che è il segreto degli uomini Giusti.

Non da ultimo è stato determinante il contributo di alcuni storici con i quali  ho avuto importanti scambi di opinioni che mi hanno aiutato a non farmi confondere dall’emotività perché non è con questa che si capisce la Storia  e nemmeno si fa una buona mostra.

Una leggenda ebraica che compare nel Talmud di Babilonia narra che, dall’inizio del mondo fino alla fine dei giorni, ci siano sempre 36 uomini giusti, inconsapevoli di esserlo e ignoti a tutti;  uomini che svolgono lavori umili, dai quali dipende il destino dell’umanità. È grazie a loro se Dio risparmia il mondo dalla distruzione nonostante i peccati degli uomini.

Secondo la leggenda ogni volta che uno dei Giusti porta a termine il suo compito e scompare viene sostituito da un altro .

Uno dei compiti dell’Arte Contemporanea dovrebbe essere quello di interpretare la realtà odierna e renderla più comprensibile. Gli artisti hanno una sensibilità particolarmente acuita che permette loro di captare i cambiamenti nella società e nella Storia nonostante la ridottissima distanza temporale che, come sempre quando si è troppo a ridosso dall’oggetto dell’osservazione, li rende incomprensibili ai più.

Gli artisti dovrebbero essere insomma le avanguardie del nostro tempo e interpretarne lo spirito, quello che Hegel, nelle sue lezioni sulla filosofia della storia, chiamava Zeitgeist.

Il linguaggio per immagini dell’Arte figurativa, elude la ragione e viene interpretato direttamente dalla sensibilità individuale. Fa appello a una sfera emotiva di vissuto personale che può diventare una leva importante per muovere e sostenere la ragione nella comprensione di fatti più grandi dell’Uomo.

Troppo raramente l’Arte Contemporanea si accosta ad altre discipline come strumento di conoscenza complementare e questa sua assenza la impoverisce molto relegandola spesso a status symbol intellettuale, a nicchia di speculazione filosofica per pochi o, peggio ancora, finisce per chiudersi in un circolo autoreferenziale in cui chi la produce, chi la interpreta, chi la espone e chi la vende fa riferimento solo ad essa stessa isolandola dal resto del mondo.

Se quella dei 36 Giusti è una leggenda biblica, l’esistenza di tanti Giusti fra le Nazioni è realtà.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, in tutto il mondo, persone eccezionali nella loro normalità, hanno salvato tantissime vite umane dalla Shoah.

Nel 1963 il museo Yad Vashem, ha istituito una commissione, guidata da un membro della Corte Suprema Israeliana che, con rigorosi criteri di selezione, ha iniziato a valutare le storie degli ebrei salvati dall’Olocausto. “Giusto fra le Nazioni” è il riconoscimento più alto per lo Stato israeliano e la commissione dello Yad Vashem garantisce ai Giusti comprovati la Nazionalità onoraria, un sostegno economico e, in caso di necessità, un sostegno per le cure mediche. Fino agli anni Novanta per ciascuno dei Giusti riconosciuti veniva piantato un albero nel Giardino dei Giusti del museo poi, essendo terminato lo spazio per le piantumazioni, i loro nomi hanno trovato posto in un muro all’interno del giardino stesso.

Mirko Baricchi, Paul Beel, Ariela Böhm, Alfio Giurato, Fosco Grisendi, Ester Grossi, Lea Golda Holterman, Federico Infante, Massimo Lagrotteria, Marco Martelli, Matteo Massagrande, Sonia Maria Luce Possentini, Matteo Pugliese, Tobia Ravà, Max Rohr, Matteo Tenardi, Wainer Vaccari sono gli artisti che ho scelto per raccontare questa pagina di Storia.

Il Comune di Correggio, Galleria de’ Bonis, Bonelli Lab, Bonioni Arte, Punto sull’Arte, Cardelli & Fontana Arte Contemporanea , Galleria Restarte, Spazio Testoni, Federico Rui Arte Contemporanea  e M77 Gallery sono stati i partner che hanno reso possibile questa mostra.

Il conteggio della commissione di Yad Vashem è arrivato a riconoscere ad oggi  25.700 Giusti, dei quali 634 italiani .

Un numero così superiore al 36 della leggenda del Talmud restituisce una certa speranza nell’umanità e nelle persone sulle quali il suo destino poggia.

 

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MATER: Percorsi simbolici sulla maternità

Correggio, Pietà, 1512 ca., Museo Civico, Correggio

Correggio, Pietà, 1512 ca., Museo Civico, Correggio

Una piccola Pietà del Correggio, un biberon archeologico, la Venere degli Stracci di Pistoletto, due video di Bill Viola.

Ma anche l’Annunciazione di Luca Signorelli, una Dea Madre del IV sec. a.C. e una scultura dii Aron Demez, passando per la Madonna della Misericordia di Bartolo di Fredi e la Maternità di Gino Severini.

Lo so, letto così questo elenco sembra un guazzabuglio artistico senza senso di quelli che vanno di moda adesso e invece è una bellissima mostra: Mater, percorsi simbolici sulla maternità, visitabile fino al 28 giugno al Palazzo del Governatore di Parma.

MATER

Se non lo fosse non avremmo mai prestato la nostra Pietà, un giovanile olio su tavola del Correggio, databile 1512 circa, di proprietà della Fondazione Il Correggio dal 2002 dopo essere appartenuta alla National Gallery di Washington e alla Pierpont Morgan Library di New York.

La tavola risente stilisticamente dell’influenza Mantegnesca nell’anatomia che pur si rivela un po’ rigida, vista la data precoce e Leonardesca in quel prezioso paesaggio nebbioso che si apre in alto a destra e che forse è il punto più alto di tutto il dipinto.

La nostra Pietà si trova in una saletta insieme ad altre due opere accostate in modo decisamente non convenzionali: Un grande dipinto di Hayez e un video di Bill Viola.

Questa insolita scelta di accostamenti caratterizza l’intera mostra il cui tema ampio e non nuovo poteva portare a scelte molto più scontate e noiose che sono state saggiamente tralasciate per impostare  invece una mostra sorprendente che punta molto sul “wow factor”.

170 opere dei più grandi nomi della Storia dell’Arte di tutti i tempi partendo dall’ opera più antica che risale al IV millenio a.C. arrivando all’opera più recente del 2014 in un alternarsi di antico e moderno che tiene viva l’attenzione lasciando lo spettatore via via più sorpreso davanti ad ogni opera.

Ciò non significa che i nomi altisonanti degli autori e i loro accostamenti anche estremi all’interno di una stessa sala, siano stati scelti a discapito dei contenuti. La mostra è corredata infatti da un ricco corpus di approfondimenti storico-artistici (e sociali).

La maternità racchiude in un’unica immagine il mistero della vita nell’Universo, segnando l’irruzione del tempo del singolo essere umano nell’immensità dell’infinito. In questo miracolo della materia, che genera e pensa se stessa, permane il più grande mistero della vita.

Ideata da Elena Fontanella, curata da Annamaria Andreoli, Elena Fontanella e Cosimo Damiano Fonseca, la mostra si sviluppa attraverso 4 macro sezioni:
I sezione: COSMOGONIE E DEE MADRI: LA MATERNITÀ DELLA TERRA E LA MATERNITÀ DEL CIELO

Questo primo gruppo di opere definisce La maternità come rappresentazione fisica del costante rapporto dell’Umanità con il Divino ed esplora archetipi multiculturali antichi come il mondo.

Dea Iside, XXVI dinastia Regno di Amasi,  Museo Egizio, Firenze

Dea Iside, XXVI dinastia Regno di Amasi, Museo Egizio, Firenze

II sezione: MATERNITÀ RIVELATA

Questa sezione racconta la decisiva svolta simbolica nella rappresentazione artistica della Maternità dopo il riconoscimento di Maria come Madre di Dio dal Concilio di Nicea nel 325 d.C.

Luca Signorelli, Annunciazione, 1491,  Pinacoteca Civica, Volterra

Luca Signorelli, Annunciazione, 1491, Pinacoteca Civica, Volterra

III sezione: DALLA MATERNITÀ SACRA ALLA MATERNITÀ BORGHESE

La trasformazione della famiglia in ambito borghese ottocentesco ha modificato l’ideale di sacralità della maternità. Nella sezione si analizza il forte squilibrio sociale creato dalla rivoluzione industriale che farà da sfondo al recupero della maternità come valore nuovo.

Gino Severini, Maternità, 1916, Museo dell'Accademia Etrusca, Cortona

Gino Severini, Maternità, 1916, Museo dell’Accademia Etrusca, Cortona

IV sezione: IL SECOLO BREVE: EMANCIPAZIONE DELLA FIGURA FEMMINILE DAI TEMI ARCHETIPICI

La sezione sottolinea il tema della Maternità nell’arte del Novecento e delle sue Avanguardie. Ne emerge non più una figura di madre astratta e chiusa in una propria femminilità sacrale, ma una figura in reale competizione con il quotidiano, in cui è la donna – affrancandosi dalla condizione esclusiva di madre – che determina nell’arte una variazione della propria iconografia La maternità sacra si trasforma in femminilità seduttiva e il senso procreativo cede il passo a una rappresentazione estetica concettuale.

Michelangelo Pistoletto, Venere degli stracci, 1967, Cittadellarte, Fondazione Pistoletto, Biella

Michelangelo Pistoletto, Venere degli stracci, 1967, Cittadellarte, Fondazione Pistoletto, Biella

Al di là dei grandi nomi trovo che alcuni pezzi si distinguano per la loro forza espressiva e rivelino l’occhio attento e coraggioso dei curatori che hanno saputo percorrere trasversalmente la Storia dell’Arte senza fermarsi solo sulle “tappe obbligate”. Fra questi non si scordano gli occhi sbarrati di una delle due madri di Raffaele Borrella (1918),

Raffaele Borella, Le due madri,  1918, collezione Intesa Sanpaolo

Raffaele Borella, Le due madri, 1918, collezione Intesa Sanpaolo

la sensualità quasi animalesca e al tempo stesso sacrale della scultura di Aron Demez, artista per cui ho un debole e che trovo estremamente spirituale. Incredibilmente intensi sono anche i due video di Bill Viola che hanno entrambi in sé qualcosa di struggente e si collocano su un confine immaginario fra antico e moderno. Fortissimo nella sua crudezza è “L’altare della sterilità” di Andi Kacziba, un’ installazione fatta di piccoli sacchetti di tela grezza tinti di rosso come uteri pieni di sangue.

Andi Kacziba, Altare della sterilità, 2014

Andi Kacziba, Altare della sterilità, 2014

Qualche altro buon motivo per andare a vedere “Mater”? In mostra ci sono anche Tiepolo, Filippo Lippi, Luca Signorelli (!), Rosso Fiorentino(!!), Max Ernst, Guido Crepax (ebbene si), Auguste Rodin, Lucio Fontana (poteva mancare?) e molte altre sorprese che non vale la pena rivelare subito.

MATER. PERCORSI SIMBOLICI SULLA MATERNITÀ
PARMA, PALAZZO DEL GOVERNATORE
(Piazza Giuseppe Garibaldi 2)
8 MARZO – 28 GIUGNO 2015
Orari:
lunedì: CHIUSO
martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, domenica: 10:00-20:00
sabato: 10:00-23:00

Informazioni:
www.mostramaterparma.it

Facebook: mostramater
Twitter: @MaterParma
Instagram: mostramaterparma

LA SELVA OSCURA – Giornata della Memoria 2015

 

la_selva_oscuraLA SELVA OSCURA

17 gennaio – 13 febbraio 2015

inaugurazione domenica 18 gennaio h. 17.00

Museo “Il Correggio”, Correggio (RE)

il 27 gennaio 2015 ricorre il 70° anniversario della liberazione del Campo di Concentramento di Auschwitz-Birkenau da parte dell’Armata Rossa.

Sarà una ricorrenza particolarmente sentita, a livello mondiale, anche perché di anno in anno, i testimoni diretti sono sempre meno.

“La Selva Oscura” è la mostra collettiva che ho curato per questa ricorrenza e mette a confronto artisti ebrei e non sul tema della memoria  della Shoah attraverso la metafora del bosco e degli alberi.

Nella cultura ebraica il bosco è strettamente legato alla memoria: si usa infatti piantare alberi, o interi boschi, per ricordare le vittime della Shoah e i “giusti”, i non ebrei che hanno agito in modo eroico a rischio della propria vita per salvare anche un solo ebreo dal genocidio nazista.

L’albero e il bosco sono metafore delle vittime dell’Olocausto ma possono assumere anche un’accezione più vicina al concetto di “selva oscura” dantesca nella quale “la diritta via era smarrita”. Il bosco si connota in questo caso come luogo dello smarrimento dell’umanità intera di fronte a quel capitolo oscuro della Storia che è stata la “Soluzione Finale” nazista.

I boschi sono stati altresì luoghi di episodi di eroica resistenza ebrea: in molte foreste dalla Bielorussia alla Lituania, si sono nascosti, organizzandosi militarmente, gruppi di ebrei sfuggiti alla distruzione dei ghetti e ai campi di sterminio e da lì hanno sferrato disperate offensive ai nazisti o hanno cercato di creare punti di raccolta e resistenza per salvare quanti più ebrei possibile.

Il bosco e gli alberi mi sono sembrati quest’anno la giusta metafora per parlare dell’Olocausto e gli artisti che ho coinvolto hanno saputo tradurre questi spunti in opere di grande forza.

Parteciperanno alla collettiva “La Selva Oscura”

Alessandro Bazan, Fulvio Di Piazza, Kim Dorland, Manuel Felisi, Giovanni Frangi, Fabio Giampietro, Hyena, Giorgio Linda, Raffaele Minotto, Luca Moscariello, Barbara Nahmad, Simone Pellegrini, Pierluigi Pusole, Tobia Ravà, Max Rohr, Hana Silberstein.

La realizzazione della mostra è stata possibile grazie al contributo del Comune di Correggio (RE), delle Gallerie de’ Bonis, Bonioni, Bonelli, Studio Raffaelli Fabbrica Eos, Restarte e del laboratorio di ricerca d’ Arte Contemporanea PaRDes.

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Per vedere e geolocalizzare tutti gli eventi nel mondo organizzati per la Giornata della Memoria del 2015 il Memorial and Museum Auschwitz-Birkenau ha istituito la piattaforma 70.auschwitz.org, nella quale si può avere un’idea della vastità delle celebrazioni previste in questo 70° anniversario e sul quale è mappata anche la nostra mostra.

Per la mostra è stato edito da Vanilla Edizioni un catalogo con testi miei e di Maria Luisa Trevisan.

Qui la versione e-book

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La carne e lo spirito: “Giove ed Io”

Margherita Giove ed Io

Quando un pittore che ha lavorato tutta la vita sul Sacro a fine carriera si confronta col profano, beh, possono nascere opere imprevedibili che rivelano qualcosa in più sulla sua personalità.

Antonio Allegri, Giove ed Io, 1531, olio su tela, 163,5 x 74, Vienna Kunsthistoriches Museum

Antonio Allegri, Giove ed Io, 1531, olio su tela, 163,5 x 74, Vienna Kunsthistoriches Museum

Ecco Giove ed Io, 1531, uno dei capolavori del Correggio, dipinto per Federico II Gonzaga (che aveva un certo gusto per i dipinti erotici, come testimoniano gli affreschi di Palazzo Te).

Giulio Romano, Giove e Olimpia, Mantova, Palazzo Te

Giulio Romano, Giove e Olimpia, Mantova, Palazzo Te

Ripercorriamo la storia: Giove si innamora della bella Io e per non farsi scoprire dalla gelosissima Giunone scende sulla terra avvolto in una nube e con questo stratagemma possiede Io. Giunone poi, non nuova a questi scherzi del consorte, scopre l’inganno – nonostante Giove avesse trasformato Io in una giumenta per depistare la moglie – e vessa Io riducendola in schiavitù finché non arriva Mercurio, invocato da Giove, a liberarla. La storia va avanti ancora a lungo, fra mille peripezie e personaggi che però al Correggio non interessano. Correggio va subito al cuore del racconto, dipingendo l’incontro fra Giove ed Io, furtivo, passionale, travolgente. L’incontro fra carne umana e spirito divino, quello spirito che si concretizza soltanto nell’istante in cui sfiora la pelle di Io.

Giove ed Io rappresenta in realtà, più che l’omonimo mito, l’eterno dualismo fra sensualità e spiritualità che il Correggio ha saputo superare con un’interpretazione tantrica ante litteram.

In tutta la serie de “Gli Amori di Giove”, i più celebri fra i pochi dipinti di soggetto profano del Correggio, Giove ed Io si distingue su tutti per una passionalità travolgente ma non licenziosa o ammiccante. Soltanto divinamente (in ogni senso) intensa.

Il Correggio, Leda e il cigno, 1530-31, olio su tela, 152 x 191, Berlino, Gemäldegalerie

Il Correggio, Leda e il cigno, 1530-31, olio su tela, 152 x 191, Berlino, Gemäldegalerie 

Il Correggio, Danae, 1531-32, olio su tela, 161 x 193, Roma, Galleria Borghese

Il Correggio, Danae, 1531-32, olio su tela, 161 x 193, Roma, Galleria Borghese

Il Correggio, Ganimede e l'aquila, 1531-32, olio su tela, 163,5 x 70,5, Vienna, Kunsthistorisches Museum

Il Correggio, Ganimede e l’aquila, 1531-32, olio su tela, 163,5 x 70,5, Vienna, Kunsthistorisches Museum

Il valore aggiunto che Correggio riesce a conferire alla sua Io è la passione resa in modo molto naturalistico e coinvolto, com’è proprio dell’Allegri che si conferma anche nel soggetto profano maestro dei sentimenti che non gli sono dunque ispirati solo dalla fede. Quanto a Giove Correggio, a differenza degli altri artisti, ha la brillante intuizione di raffigurarlo non nascosto dalla nube ma fatto della nube stessa. Il suo corpo divino sembra materializzarsi solo nel punto e nel momento in cui entra in contatto con la carne umana della ragazza desiderata.

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Il realismo morbido con cui rende l’opima fisicità di Io e l’altrettanto naturalistica evanescenza con cui dipinge il dio-nuvola (una nuvola scura che scendendo sulla giovane preda l’avrebbe avvolta occultando la vista del loro incontro) traducono questo incontro di divino e umano che non è solo un amore profano ma anche un anelare dell’uomo al divino attraverso l’amore sensuale.

Un particolare rivelatore sembra avvalorare questa tesi: nell’angolo in basso a destra c’è un cervo dipinto che sembra quasi un ripensamento. Il cervo sembra colto nell’atto di bere l’acqua ai piedi di Io. Accanto ad esso si trova un otre, antico simbolo convenzionale per la sorgente di un fiume. Questa associazione di simboli rimanda al Salmo 42: “ Come la cerva anela ai corsi delle acque così la mia anima anela a Te, o Dio”.

La grandezza del Correggio, rispetto ad artisti predecessori, coevi e successivi, sta nello sviluppare l’opera non in modo narrativo ma emozionale, con un taglio verticale e centrato sul soggetto senza elementi di distrazione. Il vero contenuto è l’espressione del sentimento.

Bartolomeo Di Giovanni, Giove ed Io, 1488

Bartolomeo Di Giovanni, Giove ed Io, 1488

La modernità nella resa di questo soggetto, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, sta nel fatto che il poeta latino descrive una Io che fugge nei  boschi per paura di Giove, mentre la Io dipinta dal Correggio prende piacere dalla sua evanescente essenza. Correggio descrive dunque anche concettualmente un piacere che non solo si dà da parte maschile ma si riceve godendone anche da parte femminile: un punto di vista per i tempi quantomeno inusuale.

Secondo Strzygowski potrebbe derivare da  “Satiro che bacia una donna vista di schiena” del Museo Archeologico di Venezia. Ci sono molte opere dell’antichità con coppie poste in posizioni simili.

Ara Grimani, Museo archeologico di venezia

Ara Grimani, Museo archeologico di Venezia

Non è tuttavia certo che Correggio conoscesse direttamente questi modelli. E’ probabile che Allegri abbia composto insieme diversi modelli antichi mediati da disegni fatti da artisti romani della cerchia raffaellesca e Giulio Romano potrebbe aver avuto un ruolo chiave nel fornire al Correggio questi modelli.

(Post tratto dalla mia conferenza omonima al Correggio Art Home il 13 ottobre 2013)

 

“IN ABSENTIA”

In Absentia, collettiva in memoria di Lucia Finzi, vittima della Shoah

In Absentia, collettiva in memoria di Lucia Finzi, vittima della Shoah

Ciascuno di noi ha un nervo scoperto e il mio – umanamente e professionalmente – è decisamente la storia della Shoah.

Il progetto ARS – Art Resistance Shoah a cui ho dato vita insieme al collega Salvatore Trapani, è arrivato alla sua seconda mostra.

Quest’anno siamo partiti non dalla grande Storia ma da una singola storia locale, quella di Lucia Finzi, una donna ebrea di Correggio (Comune che ha ospitato la mostra), deportata e uccisa ad Auschwitz. Alla famiglia di Lucia Finzi non è rimasto assolutamente nulla di lei, se non i ricordi e una copia della foto tessera della carta d’identità.

Lucia Finzi (per gentile concessione della famiglia Finzi)

Lucia Finzi
(per gentile concessione della famiglia Finzi)

“In absentia”, Il titolo di questa collettiva, allude proprio alla sua assenza, la sua e quella di tutte le vite cancellate dal nazifascismo. Un’assenza che abbiamo cercato di colmare con i nostri strumenti. In risposta a beni sequestrati e distrutti abbiamo offerto opere d’arte, alcune delle quali realizzate proprio per questa mostra e ispirate alla storia di Lucia, arrivata a noi attraverso i racconti del nipote Guido. In risposta alla distruzione abbiamo scelto la creazione, in risposta all’omologazione imposta alle menti dalla dittatura abbiamo voluto sottolineare la libertà di pensiero e la ricchezza della varietà di espressione.

Se il nazifascismo ha cercato di cancellare l’arte di opposizione, l’arte che sveglia le coscienze, oggi con questo progetto possiamo provare a ridare spazio a tutte le voci che sono state soffocate, come quella di Lucia Finzi e lo facciamo attraverso lo strumento che ci è proprio: l’arte. Uno strumento che non riporta date o numeri, non mette in ordine avvenimenti, non trascrive documenti ma evoca atmosfere, piange, urla, commuove, ci catapulta dentro un coacervo di sentimenti attraverso i quali la storia si fissa nella nostra mente e facciamo davvero nostra l’idea di “mai più”.

Abbiamo cercato di raccontare per sensazioni la storia di Lucia Finzi che è la storia di tante altre vittime; una singola storia che è riflesso della “grande storia” segnata da tappe drammatiche: le leggi razziali, la fuga in cerca di un nascondiglio sicuro, i rastrellamenti, gli arresti, le deportazioni, i campi di concentramento, la morte. Un climax di violenza che non riusciamo nemmeno a immaginare e che questi artisti hanno evocato.

Per raccontare l’inenarrabile abbiamo cercato una storia locale, poco conosciuta, che potesse aggiungere un tassello a quanto già si sa − o si crede di sapere − sull’Olocausto. Quindi abbiamo invitato degli artisti che la raccontassero e ognuno di loro ci ha sorpreso, restituendoci un racconto per sensazioni molto più ricco e profondo di quello che avrebbe potuto essere una narrazione tradizionale.

Da questa storia nasce la nostra idea di creare una mostra collettiva attraverso la quale ogni artista possa aggiungere un tassello a questa storia cancellata. Nella ricerca degli artisti, durante lunghe chiacchierate con i galleristi che hanno preso parte al progetto, ci siamo imbattuti anche in opere già esistenti che abbiamo scelto di inserire nella mostra come elementi mancanti al nostro discorso.

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Abbiamo cercato di raccontare per sensazioni la storia di Lucia Finzi che è la storia di tante altre vittime; una singola storia che è riflesso della “grande storia” segnata da tappe drammatiche: le leggi razziali, la fuga in cerca di un nascondiglio sicuro, i rastrellamenti, gli arresti, le deportazioni, i campi di concentramento, la morte. Un climax di violenza che non riusciamo nemmeno a immaginare e che questi artisti hanno evocato.

Ne è uscita una mostra ricca e varia accompagnata, al momento dell’inaugurazione da un approfondimento storico artistico di Salvatore Trapani sul tema di Arte e Damnatio Memoriae, da un intervento di Beniamino Goldstein, rabbino capo di Modena e Reggio e da una meravigliosa performance di danza del ballerino minimalista Giuseppe Palombarini su musiche tratte dal fil “Il pianista” di Roman Polanski.

Salvatore Trapani e Rav Goldstein durante la conferenza inaugurale "In Absentia vs Damnatio Memoriae"

Salvatore Trapani e Rav Goldstein durante la conferenza inaugurale “In Absentia vs Damnatio Memoriae”

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Gli artisti che abbiamo selezionato sono Massimiliano Alioto, Gabriele Arruzzo, Francesco De Grandi, Omar Galliani, Tea Giobbio, Giuseppe Gonella, Svitlana Grebenyuk, Ali Hassoun, Massimo Lagrotteria, Trento  Longaretti, Hermann Nitsch, Luca Pignatelli, Silvio Porzionato, Paolo Quaresima, Aldo Sergio, Giovanni Sesia, Cristiano Tassinari,  Santiago Ydañez.

E’ stato fondamentale inoltre la partecipazione davvero sentita di tutte le gallerie di riferimento: La Galleria de’ Bonis, Italian Factory, Bonelli Lab, BiasuttiBisutti, la Galleria Restarte e la Galleria Forni.

Come ha detto Fania Brankovskaja, partigiana e testimone ebrea lituana sopravvissuta alla distruzione del ghetto di Vilnius  che abbiamo avuto l’onore di avere come ospite, “Queste opere sono come tante porte, ognuno può trovare la più vicina alla propria sensibilità per entrare nella Storia”.

Margherita Fontanesi, Salvatore Trapani e Fania Brancovskaja

Margherita Fontanesi, Salvatore Trapani e Fania Brancovskaja

Guido Finzi ha raccontato a noi la storia di sua zia Lucia, noi l’abbiamo raccontata ai nostri artisti, i nostri artisti la raccontano al loro pubblico che ne parlerà a famigliari e amici.

Dalla mostra  è nato una pubblicazione in doppio formato: cartaceo ed ebook scaricabile gratuitamente o ordinabile a questo link:

http://www.vanillaedizioni.com/shop/arte/in-absentia/

Su una sola cosa Hitler aveva ragione: l’arte è davvero uno strumento potente.

NUOVA PRESENTAZIONE DEL MIO ULTIMO LIBRO

Giovedì 24 maggio alle 17.00 presenterò il mio ultimo libro sul Trittico della Misericordia del Correggio all’Accademia Virgiliana di Mantova.

Venite a scoprire quest’avventura riattributiva con un viaggio attraverso il tempo, la scienza, le tecniche artistiche.

Ci avventureremo all’interno della pellicola pittorica del dipinto, scopriremo i disegni preparatori, conosceremo secoli di proprietari di questo capolavoro fino ad arrivate al suo ingresso nelle collezioni vaticane.

Quando vi ricapita un’occasione così? Vi aspetto!

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