Mario Tozzi, geometria della purezza

Mario Tozzi, un artista che sta vivendo un grande momento di interesse nell’ambito del collezionismo d’arte e che attrae un pubblico trasversale per gusti ed età.

Mario Tozzi, La casa rosa, 1967, olio su tela, 82,5 x 54,5

La prima cosa che mi chiede chi si approccia per la prima volta alla sua pittura è sempre: “Quando è nato?”.
Il suo stile è difficilmente databile e il suo non appartenere a un movimento artistico, insieme a un temperamento schivo e solitario, ha preservato la sua pittura da mode e contaminazioni.

Nelle sue figure femminili si sposano plasticità e linearità, volume e geometrizzazione delle forme in un passaggio che, dagli anni 30 agli anni 60, vede la volumetria lasciare spazio all’analisi geometrica mentre il suo stile diventa sempre più unico, personale e riconoscibile.

Tozzi studia per tutta la vita la “sua” gamma cromatica, all’interno della quale si muove con armonia e coerenza.
I grigi si tingono di rosa, il rosa vira nell’arancio e poi nelle gradazioni delle terre.
I colori di Tozzi si contraddistinguono per la loro “polverosità” che rende ogni tela simile a un dipinto murale.

L’immagine di Mario Tozzi è promossa e tutelata dall’Archivio Tozzi che ha raccolto e raccoglie tutto il materiale documentario, critico ed espositivo concernente l’artista e si occupa della certificazione di autenticità delle sue opere.

L’Archivio Mario Tozzi

Quale dunque miglior modo di esplorare l’”universo Tozzi” che farlo attraverso una chiacchierata con Roberto Tiezzi, il presidente dell’Archivio Tozzi?

D: Qual è la cifra stilistica più unica nelle opere di Tozzi?

R: Sono molteplici, la prima che mi viene in mente è una grande tecnica, ricordiamo che ha studiato all’Accademia delle Belle Arti di Bologna con compagni come Morandi e Licini, unita ad una maniacale precisione di rappresentazione, dapprima di paesaggi dei luoghi dove viveva e delle persone vicine, per passare poi a figure mitologiche e al metafisico fino ad arrivare alle geometriche figure femminili dell’ultimo periodo.

D: Il periodo dei fondi bianchi di Suna è molto ricercato dal mercato ma a suo avviso è anche quello artisticamente più alto?

R: Il periodo dei fondi bianchi, che rappresenta una specie di “rinascita” o meglio di “seconda nascita” del Maestro, è stato subito apprezzato a livello commerciale, tale che la produzione, in particolare dal 1968 al 1972 è stata molto cospicua. Le figure femminili di Tozzi hanno una grande personalità riconoscibile e sono ben identificate (come ad esempio le donne del suo collega Campigli), anche se nel primo periodo parigino, dal 1923 al 1935, l’artista, a mio parere, dimostra la sua grandezza. Opere di grandi dimensioni, meditate e studiate nei particolari: infatti tali sono l’accuratezza e il tempo dedicato a realizzarle che la produzione consta di pochi dipinti ogni anno. Sono le opere che troviamo e che possono essere ammirate nei musei di tutto il mondo!

D: All’interno del groupe des sept come emergeva la figura di Tozzi? Qual era la sua personalità?

R: Si ritrovano a Parigi de Chirico con il fratello Savinio, De Pisis, Paresce, Campigli e Severini. Tozzi, che capisce la necessità di unire le forze e promuovere la grande arte italiana, si fa capo del gruppo. È lui che promuove e coordina, sia a Parigi che in Italia, organizzando tra l’altro la biennale di Venezia del 1930 dedicata agli “italiani parigini”. È uscito lo scorso un libro edito Utet, della storica dell’arte Rachele Ferrario, intitolato “Les Italiens” dove descrive il magico periodo degli italiani a Parigi.

Mario Tozzi nel suo studio a Parigi nel 1973.
fonte: Archivio Tozzi – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=23643559

D: Al di là del periodo parigino come si riflette la personalità dell’Artista nella sua pittura?

R: Tozzi era un attento osservatore, di grande cultura e amante dell’arte in tutte le sue manifestazioni.
Grande conoscitore di Piero della Francesca, a cui spesso si collega, nella sua pittura troviamo la pacatezza, la meditazione, la serenità e la precisione della sua personalità.

D: Come lavora l’Archivio?

R: L’Archivio tutela e rappresenta l’arte del Maestro, il lavoro si articola tra il controllo dell’autenticità delle opere – sono numerose le opere false in circolazione – , all’emissione di certificazione oltre al controllo e promozione delle mostre e delle pubblicazioni. Oltre al lavoro di diffusione della sua opera nel moderno mezzo di comunicazione di internet e dei social. Inoltre l’Archivio ha il “dovere” di confrontarsi, essere presente e vicino ai collezionisti e agli addetti ai lavori.


Mario Tozzi, Testina bruna, 1967,
olio su tela applicata su pannello, 35 x 27

Renato Guttuso e la società davanti al caminetto

Le opere che più mi affascinano sono quelle apparentemente semplici che catturano magari per la loro pulizia formale, ma delle quali si scoprono dettagli rivelatori che le rendono incredibilmente, enigmaticamente ricche ed eloquenti.

Si tratta di opere parlanti che però raccontano qualcosa solo a chi vuole stare ad ascoltare o meglio, a vedere. Diversamente mostrano soltanto una superficie gradevolmente ordinaria.

Guttuso, Caminetto, 1984, olio su tela, 150 x 125,5

Dunque Guttuso, con questo dipinto, ci trasporta davanti a un caminetto, un caldo scoppiettante fuoco in un interno borghese. Sono alcuni dettagli che ci danno questa indicazione di ceto: il marmo, usato al posto della pietra persino per la soglia, l’ottone che protegge il pavimento in parquet dalle scintille e sul quale si riflettono le fiamme, con un piccolo virtuosismo pittorico. Persino l’aver scelto non una sedia qualsiasi come elemento in primo piano ma una Thonet non è un dettaglio casuale.

In basso a sinistra, appoggiata in un angolo, per terra c’è una caffettiera napoletana evidentemente fuori posto. In un vero interno la caffettiera sarebbe stata di servizio, in porcellana decorata e si sarebbe trovata su un tavolino. Questa anomalia indica che l’oggetto, di evidente origine popolare,  deve essere letto in chiave simbolica.

Il libretto rosso sulla mensola del camino è una chiara allusione al libretto rosso di Mao e all’impegno politico di Guttuso che ha pervaso tutta la sua vita e gran parte della sua carriera artistica.

L’uovo nel portauovo davanti al libretto è forse l’elemento più enigmatico. Apparentemente un simbolo di perfezione e dell’origine della vita che ha radici antichissime nell’icnografia artistica (l’esempio più noto potrebbe essere la “Pala di Brera” di Piero Della Francesca con l’uovo che pende dall’alto sul capo della Vergine e del Bambino), ma non è raffigurato nella sua interezza. L’aver collocato l’uovo nel portauovo riporta il simbolo in una dimensione quotidiana a voler ricordare la perfezione si, ma anche il nutrimento. Una immagine insomma di un Guttuso intellettuale ma con i piedi per terra, soprattutto se accostata alla caffettiera napoletana.

Nella sua lettura completa l’opera appare come uno spaccato metaforico della società, con le sue stratificazioni, quelle più palesi e quelle più nascoste: la componente borghese, la facciata, la componente popolare, ai margini ma che si impone all’attenzione, la parte politicizzata rappresentata da quel piccolo libretto rosso squillante come una spia di allerta.

Ecco come, un’immagine apparentemente semplice può nascondere, per chi la sa guardare, una mondo intero.

Tobia Ravà. Da’at I numeri della creazione

IMG_3732

Domenica 17 aprile 2016 ha inaugurato al Palazzo Ducale di Sabbioneta, umanistica “città ideale” in provincia di Mantova,  un’ampia personale di Tobia Ravà dal titolo “Da’at, I numeri della creazione”. Circa novanta opere che si dipanano in undici sale partendo dai poco conosciuti dipinti pre-numerici e spaziano tra pittura, scultura, grafica e lightbox.

 

IMG_3743

Tobia Ravà

Per un critico confrontarsi con Tobia Ravà è sempre una bella occasione per tornare alle radici del proprio lavoro: interpretare un mondo e avvicinarlo al pubblico, obiettivo che la critica d’arte tende a volte a perdere di vista abbandonandosi a virtuosismi con l’intento di fare a propria volta un’opera d’arte letteraria.

CCI19042016_0003

Tobia Ravà, Dag cabal tropicale verde, 2014, bronzo da fusione a cera persa tirato al nitrato di ferro, cm. 47 x 29 x 14

Mi ha sempre affascinato la complessità dei livelli di lettura nelle opere di questo artista: sono bellissime al primo approccio, nella loro profondità prospettica e nell’unicità del loro stile, ma è quando si scopre la stretta interconnessione significante tra le lettere e i numeri che le compongono che si capisce di essere di fronte a una porta aperta su altri livelli. Lettere e numeri non solo concorrono a creare il soggetto dell’opera ma arricchiscono il suo significato attraverso la loro combinazione cabalistica.

La visione del mondo di questo artista è stimolante e costringe a mettersi in gioco e ad andare oltre i binari dell’arte contemporanea: Ravà affonda le proprie radici nella cultura ebraica, per lo più poco nota al mondo dei “gentili” e, all’interno di questa, spazia nel territorio di alcune correnti mistiche di interpretazione complessa, dalla Kabbalah al Chassidismo. Ciò che Ravà attinge da questi ambiti ermetici lo rielabora e lo restituisce attraverso modalità espressive assai diversificate: dalla pittura alla scultura, passando per i lightbox.

CCI19042016_0002

Tobia Ravà, I lombi del miracolo, Bosco camomilla, 2016, resine e tempere acriliche su tela, cm. 80 x 60

Le opere di Ravà sono uno strumento di comprensione del mondo che avanza, come un processo alchemico, per stadi progressivi e, se si vuole procedere oltre il primo affascinante livello estetico, si trovano nascoste alcune chiavi di interpretazione: lettere e numeri che compongono i suoi soggetti, secondo l’interpretazione cabalistica, sono un mezzo per dare un ordine al caos del mondo.

Maria Luisa Trevisani, curatrice della mostra insieme a Mauro Romanini, ha definito lo stile di Ravà “concettualismo estetico” e mai definizione mi è parsa più adeguata.

CCI19042016

Tobia Ravà, Codice RaMHal, 2010, raso acrilico, sublimazione bifacciale, cm. 178 x 135

Leggere l’ordine dell’universo significa scoprire la perfezione divina che si manifesta nella materialità sensibile del regno vegetale, animale e umano. Ravà rappresenta raramente l’uomo in modo diretto ma piuttosto attraverso le architetture, frutto del suo intelletto, che hanno antropizzato l’ambiente.

Il titolo della mostra “Da’at, i numeri della creazione”, fa riferimento a Da’at, sfera della conoscenza all’interno dell’albero sefirotico della vita, e suggerisce proprio questo processo.

CCI19042016_0001

Tobia Ravà, Jerusalem – Codice celeste, 2012, sublimazione su raso acrilico, cm. 170 x 117

La bellezza di ogni opera nasconde una via d’ accesso alla conoscenza attraverso la quale si inizia un viaggio alla scoperta dell’universo sensibile.

 

In occasione di questa mostra è stato edito un catalogo che include anche un mio testo accanto a quelli di Maria Luisa Trevisani, Gadi Luzzato Voghera, Ermanno Tedeschi, Siro Perin, Giuseppe Balzano, Roy Doliner e un’intervista di Arturo Schwarz a Tobia Ravà.

IMG_3797

Tobia Ravà

Da’at. I numeri della creazione

A cura di Maria Luisa Trevisani e Mario Romanini

Sabbioneta (MN), Palazzo Ducale

17 aprile – 29 maggio 2016

 

HYENA SOLO SHOW2001-2016, quindici anni di opere

 

 

Dieci anni insieme a un artista sono tanti e in un decennio si impara a conoscersi davvero bene.

Ho iniziato a lavorare con Hyena nel 2006. Ho visto nascere il suo lavoro, discusso fino a tarda ora di nuovi progetti, scritto tantissimi testi critici, comprato e venduto non so più quante opere.

Hyena ha tutte le caratteristiche che deve avere un artista di successo:

– ha una grande curiosità accompagnata da una cultura multidisciplinare che spazia dalla pittura, al cinema alla musica, fino alla poesia

– ha uno stile definito che si riconosce fra mille tentativi di imitazione e che sa rinnovarsi pur rimanendo fedele a sé stesso

– è un vero professionista, serio, concreto e affidabile (perché con la formula “genio e sregolatezza” non si va da nessuna parte)

Seguire un artista nella doppia veste di critico e mercante è un’ esperienza ricca e varia il cui esito naturale non poteva che essere una mostra monografica per celebrare i suoi primi 15 anni di carriera.

“Hyena Solo Show, 2001 – 2016, quindici anni di opere” è un percorso che si snoda attraverso tutti i capitoli principali della storia di Hyena.

La mostra si apre con “Catone e la Route 181”, progetto con il quale Hyena mosse i primi passi nell’arte contemporanea, con scatti realizzati nel sud della Francia, a Saintes-Maries-de-la-Mer, durante il raduno dei gitani per la festa di Santa Sara nel 2001.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Catone e la Route 181, 2003, tecnica mista su metallo, cm. 75 x 100

Ampio spazio è dedicato alle serie sul nudo femminile che hanno reso famoso l’artista e che celebrano la donna sotto diversi aspetti, da quello di “dea madre” a quella di “compagna e amante”.

Hyena, 70100, Venere XXI, 2006, tecnica mista su juta, 150 x 100

Venere XXI, 2006, tecnica mista su juta, 150 x 100

Presenti, inoltre, opere della serie “Landscape”, che coniuga suggestioni padane con il paesaggismo giapponese passando attraverso echi nordeuropei,

hyena, albero, 80x120, 2010 arch. 1008 per mail

Landscape, 2010, tecnica mista su tela, 80 x 120

accanto alle opere della suggestiva serie “Roots” con i suoi alberi dalle radici fluttuanti nel vuoto

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Roots, 2009, tecnica mista su tela, cm. 130 x 90

La passione per la musica, che da sempre accompagna Hyena accanto a quella per la fotografia, ha dato vita alla serie “II/IV/I” dedicata al jazz e alla danza contemporanea con le prime opere che contengono movimento e un accenno di colore.

Hyena, MMVIII, PAG 59, 2008, 120 x 100, x mail

Senza titolo, 2008, tecnica mista su tela, cm. 120 x 100

Hyena, 80103, MMVIII, pag 31, 2008, 120 x 100 x mail

Senza titolo, 2008, tecnica mista su tela, cm. 120 x 100

Ultimo lavoro, infine, la serie “Vanitas”, nature morte di ispirazione rinascimentale che riflettono sulla caducità della vita.

VANITAS#13001_80X80

Vanitas, 20016, tecnica mista su tela, cm. 80 x 80

In mostra ho dato spazio anche a anche diverse curiosità, importanti nel percorso artistico di Hyena, dai libri d’artista a video e cortometraggi.

Hanno sostenuto la mostra Comune di Correggio, Galleria de’ Bonis, Banca Generali Private Financial Planner

Non vi resta che andarla a vedere.

Hyena, Solo Show

2001 – 2016, quindici anni di opere

A cura di Margherita Fontanesi

Museo “Il Correggio”, Palazzo dei Principi, C.so Cavour, 7, Correggio (RE)

27 febbraio – 27 marzo 2016

Orari di apertura: sabato 15,30-18,30, domenica 10-12,30 e 15,30-18,30, gli altri giorni su appuntamento.

Catalogo disponibile in mostra.

Info: tel. 0522 691806, museo@comune.correggio.re.it, http://www.museoilcorreggio.org

solo show

 

 

LA SELVA OSCURA – Giornata della Memoria 2015

 

la_selva_oscuraLA SELVA OSCURA

17 gennaio – 13 febbraio 2015

inaugurazione domenica 18 gennaio h. 17.00

Museo “Il Correggio”, Correggio (RE)

il 27 gennaio 2015 ricorre il 70° anniversario della liberazione del Campo di Concentramento di Auschwitz-Birkenau da parte dell’Armata Rossa.

Sarà una ricorrenza particolarmente sentita, a livello mondiale, anche perché di anno in anno, i testimoni diretti sono sempre meno.

“La Selva Oscura” è la mostra collettiva che ho curato per questa ricorrenza e mette a confronto artisti ebrei e non sul tema della memoria  della Shoah attraverso la metafora del bosco e degli alberi.

Nella cultura ebraica il bosco è strettamente legato alla memoria: si usa infatti piantare alberi, o interi boschi, per ricordare le vittime della Shoah e i “giusti”, i non ebrei che hanno agito in modo eroico a rischio della propria vita per salvare anche un solo ebreo dal genocidio nazista.

L’albero e il bosco sono metafore delle vittime dell’Olocausto ma possono assumere anche un’accezione più vicina al concetto di “selva oscura” dantesca nella quale “la diritta via era smarrita”. Il bosco si connota in questo caso come luogo dello smarrimento dell’umanità intera di fronte a quel capitolo oscuro della Storia che è stata la “Soluzione Finale” nazista.

I boschi sono stati altresì luoghi di episodi di eroica resistenza ebrea: in molte foreste dalla Bielorussia alla Lituania, si sono nascosti, organizzandosi militarmente, gruppi di ebrei sfuggiti alla distruzione dei ghetti e ai campi di sterminio e da lì hanno sferrato disperate offensive ai nazisti o hanno cercato di creare punti di raccolta e resistenza per salvare quanti più ebrei possibile.

Il bosco e gli alberi mi sono sembrati quest’anno la giusta metafora per parlare dell’Olocausto e gli artisti che ho coinvolto hanno saputo tradurre questi spunti in opere di grande forza.

Parteciperanno alla collettiva “La Selva Oscura”

Alessandro Bazan, Fulvio Di Piazza, Kim Dorland, Manuel Felisi, Giovanni Frangi, Fabio Giampietro, Hyena, Giorgio Linda, Raffaele Minotto, Luca Moscariello, Barbara Nahmad, Simone Pellegrini, Pierluigi Pusole, Tobia Ravà, Max Rohr, Hana Silberstein.

La realizzazione della mostra è stata possibile grazie al contributo del Comune di Correggio (RE), delle Gallerie de’ Bonis, Bonioni, Bonelli, Studio Raffaelli Fabbrica Eos, Restarte e del laboratorio di ricerca d’ Arte Contemporanea PaRDes.

728x90_brama2

Per vedere e geolocalizzare tutti gli eventi nel mondo organizzati per la Giornata della Memoria del 2015 il Memorial and Museum Auschwitz-Birkenau ha istituito la piattaforma 70.auschwitz.org, nella quale si può avere un’idea della vastità delle celebrazioni previste in questo 70° anniversario e sul quale è mappata anche la nostra mostra.

Per la mostra è stato edito da Vanilla Edizioni un catalogo con testi miei e di Maria Luisa Trevisan.

Qui la versione e-book

//e.issuu.com/embed.html#3080627/10952751

 

 

GALLIANI INCONTRA MORANDI, LA POETICA DEL SILENZIO

 

Omar Galliani 16 paesaggi per Giorgio, matita nera s carta e anello oro, 34.5x49 cm.

Omar Galliani 16 paesaggi per Giorgio, matita nera s carta e anello oro, 34.5×49 cm.

Le poetiche di due artisti silenziosi, che preferiscono alle parole il fruscio della matita, si trovano idealmente a confronto sulle colline bolognesi.

A Grizzana Morandi, in provincia di Bologna, la casa tanto cara a Giorgio Morandi, per lui rifugio, oasi creativa e “buen retiro”, ospita per la prima volta, come sede espositiva, le opere di un altro artista: Omar Galliani che ha fatto conoscere il grande disegno italiano in tutto il mondo.

galliani-morandi

Le stanze abitate da Morandi e dalle sue sorelle, popolate dagli oggetti che hanno costituito la sua quasi ascetica poetica visiva, dall’11 luglio al 30 ottobre 2014, accolgono le opere di Omar Galliani che, a ben guardare, hanno diversi aspetti propri anche dell’universo morandiano.

Omar Galliani

Omar Galliani

«Cosa unisce e cosa divide le cifre del fare?», si chiede Omar Galliani. «Le geografie e gli spostamenti dei segni non hanno per nostra fortuna regole addomesticate dalla subordinazione storica degli eventi. Il silenzio meticoloso della pennellata o il graffiare e sfumare del disegnare hanno in comune l’attesa e il tempo. Un tempo sospeso tra la prospettiva incerta di una strada in salita che si riempie di passi o il profilo tremulo di un’ombra di un calice sulla parete. Rimuovere il tempo non significa collassarci dentro, ma sostenere che il tempo non è finito come l’opera mai finita di Giorgio. Aggiungere nuovi fogli e nuove opere in questa casa, collocata sul ciglio di una strada comune quanto unica, non significa fermarsi a… ma ripartire sui tuoi passi».

Omar Galliani. Sui tuoi passi, 1986, carboncino su carta intelata,  cm 125x200

Omar Galliani. Sui tuoi passi, 1986, carboncino su carta intelata, cm 125×200

Ed è proprio “Sui tuoi passi” il titolo di una delle opere di Galliani realizzata nel 1986 ma esposta al pubblico per la prima volta solo in questa occasione, un pezzo con l’inconfondibile impronta di Galliani ma allo stesso tempo molto evocativo dell’universo paesaggistico morandiano. Accanto a quest’opera trova posto “Paesaggio dei miei veleni” e “Iris per Giorgio”, quest’ultima realizzata appositamente per questa mostra. Accanto a questi pezzi completano la lettura di Galliani del genius loci morandiano una serie di 16 disegni preparatori che trovano il loro spazio nei locali dei “Fienili del Campiaro”.

La casa di Morandi, un vero e proprio microcosmo di oggetti e affetti, dalle cui finestre si possono ritrovare rivedere i suoi paesaggi, sempre realizzati stando all’interno, protetto dalla cornice della finestra che gli ritagliava un pezzo di mondo (e ci si stupisce di vederli veri e colorati e non nella loro più nota bidimensionalità di grafite) accoglie in un modo molto naturale le opere di Galliani. Questi, lungi dal voler emulare il Maestro bolognese – nel cinquantesimo anniversario della sua scomparsa- si propone di raccoglierne il lavoro idealmente mai finito: per Galliani aggiungere “nuovi fogli e nuove opere in questa casa, collocata sul ciglio di una strada comune quanto unica, non significa fermarsi a… ma ripartire sui tuoi passi” come Galliani stesso afferma.

Omar Galliani, Un iris per Giorgio, matita nera su carta + anello d'oro, 78,5x107 cm

Omar Galliani, Un iris per Giorgio, matita nera su carta + anello d’oro, 78,5×107 cm

La mostra si inserisce in una più ampia rassegna che prevede anche la mostra fotografica di Luciano Leonotti, che per la prima volta fotografa nella sua interezza “Casa Morandi” e l’inaugurazione di “Fienilelab”, il laboratorio d’arte che ospita una mostra di studenti dell’Accademia di Belle Arti di Bologna (Francesca Bertazzoni, Jessica Ferro, Nicola Montalbini, Eldi Veizaj), alle prese con morfologia e morfogenesi da “Historia Naturalis”.

 

“RANGAVALLI”, I MANDALA DI PHILIP TAAFFE

Philip Taaffe, Rangavalli IX, 1989, olio su carta, 68,5 x 68,5cm

Philip Taaffe, Rangavalli IX, 1989, olio su carta, 68,5 x 68,5cm

Un oggetto mistico, uno strumento di conoscenza, un simbolo antico e magnetico, ecco cos’è un mandala.

L’etimo della parola viene dal sanscrito “essenza” (manda)”, possedere” o “contenere” (la).

Il mandala è una forma circolare simbolica che allude all’origine dell’universo che da un punto si è sviluppato in un’essenza ampia e complessa, ma rappresenta anche la maturazione della propria consapevolezza umana, la riflessione dal sé verso il tutto: il passaggio dall’ inconscio individuale all’inconscio collettivo.

acchiappasogni

acchiappasogni

Chartres, Cattedrale, rosone del transetto nord

Chartres, Cattedrale, rosone del transetto nord

 Il primo mandala noto è una ruota solare paleolitica trovata nell’Africa del sud ma queste forme sono da sempre presenti in ogni cultura, da oriente a occidente: nell’induismo, nel buddismo, nel cristianesimo, presso gli indios americani. Persino Jung li studiò in quanto simboli archetipici per vent’anni e scrisse sull’argomento ben quattro saggi.

il primo mandala disegnato da Jung

il primo mandala disegnato da Jung

Nelle filosofie orientali i mandala vengono usati come strumento per la meditazione e il fine della costruzione di un mandala è la ricostruzione di un ordinamento precedentemente in vigore.

Singolare è la definizione che ne diede Giuseppe Tucci, grande figura di orientalista, padre della tibetologia contemporanea: ‘psicocosmogramma’ nel mandala infatti  è rappresentata in forma sintetica la serie di nessi e legami che fanno della realtà, apparentemente frammentata negli innumerevoli elementi che la compongono, un tutto organico e coerente fin nella sue parti più infinitesimali.

Vishnu Mandala

Vishnu Mandala

Anche nell’occidente contemporaneo c’è chi si avvicina ai mandala, come Philip Taaffe (Elizabeth, New Jersey, 1955) con la sua serie “Rangavalli”, presentata allo Studio d’Arte Raffaelli di Trento (29 maggio – 30 settembre 2014). Taaffe scopre un particolare tipo di mandala chiamato “Rangavalli” durante un viaggio in India negli anni Ottanta, in cui rimane incantato dai disegni che la mattina le donne eseguono con farina di riso e curcuma sulla soglia di casa per tenere lontani gli spiriti maligni (e, più prosaicamente, le formiche).

I mandala di Taaffe, in linea con la tutta la sua pittura, galleggiano fra la tradizione antica, lo psichedelico (anzi, lo psicocosmogramma) e il pop perché Taaffe è pur sempre un artista contemporaneo e occidentale. Punti e linee sinuose si intrecciano nei motivi del “nodo infinito” declinato in numerose varianti.

Philip Taaffe, Rangavalli V, 1989, olio su carta, 68,5 x 68,5cm

Philip Taaffe, Rangavalli V, 1989, olio su carta, 68,5 x 68,5cm

Questi mandala devono essere rimasti impressi negli occhi e nel cuore dell’artista che, nel 2014, ne propone una nuova, più ricca ed elaborata serie. In mostra a Trento sono accostate opere della fine degli anni Ottanta con opere del 2014 che permettono di attraversare insieme all’artista l’evoluzione del suo approccio al soggetto.

E’ sempre affascinante il modo in cui Taaffe elabora tradizioni antiche e tribali in linguaggio contemporaneo creando opere ipnotiche che sembrano cariche di proprietà curative per lo spirito.

 

Philip Taaffe, Rangavalli Painting A, 2014, tecnica mista su tela, cm 32,4 x 33,6

Philip Taaffe, Rangavalli Painting A, 2014, tecnica mista su tela, cm 32,4 x 33,6

Philip Taaffe, Rangavalli

Trento, Studio d’Arte Raffaelli

29 maggio – 30 settembre 2014

philiptaaffe.info

 

 

5 BUONI MOTIVI PER VEDERE LA MOSTRA DI FRIDA KHALO A ROMA

  1. Nuoterete nel colore

L’arte è strettamente legata alla latitudine in cui nasce. Clima, colori, temperamento del luogo influenzano le forme e ancor più i colori. Frida e la sua pittura sono figlie del Messico rivoluzionario e sono un’esplosione di colori caldi rinfrescati da verdi tropicali e blu ultramarini.

Di fronte a questi dipinti intensi e palpitanti di vita, amore, dolore e gioia gli occhi si riempiono di colori che resteranno con voi a lungo

 

Frida Kahlo, Mosè o Nucleo Solare, 1945, olio su faesite

Frida Kahlo, Mosè o Nucleo Solare, 1945, olio su faesite

 

  1. Esorcizzerete i vostri fantasmi

Questa è una mostra decisamente catartica. Un viaggio nella storia di una donna la cui vita è stata segnata da drammi fisici e sentimentali e che li ha attraversati guardandoli dritti negli occhi, senza mai sfuggire al dolore e alla paura ma abbracciandoli, cercando di conoscerli profondamente, talvolta ironizzando su di essi e su sé stessa.

Una grande lezione.

 

Frida Kahlo, Autoritratto con collana di spine e un colibrì,1940, olio su lamina metallica, 63,5 x 49,5

Frida Kahlo, Autoritratto con collana di spine e un colibrì,1940, olio su lamina metallica, 63,5 x 49,5

 

  1. Scoprirete nuovi orizzonti

Perché, diciamolo, la pittura messicana non è che sia così conosciuta in Europa.

 

Frida Kahlo, L'abbraccio amorevole dell'Universo, la terra (il Messico), io, Diego e il signor Xolotl, 1949, olio su masonite

Frida Kahlo, L’abbraccio amorevole dell’Universo, la terra (il Messico), io, Diego e il signor Xolotl, 1949, olio su masonite

 

  1. Capirete che Frida non dipingeva solo sé stessa

Ritraeva soprattutto sé stessa, intensamente sé stessa, con la curiosità di chi si vuole capire ma in mostra troverete anche altri soggetti come meravigliose, nature morte, sconosciute ai più, colorate, succose e polpose ma anche carichissime di significati simbolici neanche tanto velati. Nature morte fatte di frutti tropicali, nature morte viste da un’altra latitudine, con significati sottesi talvolta tragici ma sempre accompagnati da un filo di ironia.

 

Frida Kahlo, La sposa che si spaventa vedendo la vita aperta, 1943, olio su tela, 63 x 81,5

Frida Kahlo, La sposa che si spaventa vedendo la vita aperta, 1943, olio su tela, 63 x 81,5

 

  1. Sveglierà il vostro spirito ribelle

…perché ce l’avete uno spirito ribelle, vero?

 

Il busto in gesso

Il busto in gesso

 

Frida Kahlo

a cura di Helga Prignitz-Poda

Roma, Scuderie del Quirinale

20 marzo- 31 agosto 2014

 

 

 

Luca Pignatelli e l’astrazione

Luca Pignatelli, La caccia, 2014, tecnica mista su carta, 157 x 247,5

Luca Pignatelli, La caccia, 2014, tecnica mista su carta, 157 x 247,5

Fermento e stile in questi giorni vanno di pari passo in Via Mecenate a Milano dove, al civico 77 Giuseppe Lezzi ha aperto  M77gallery, il suo nuovo spazio espositivo nel quale Luca Pignatelli ha presentato la sua ultima produzione: una serie di lavori su carta dal titolo Off Paper.

Pignatelli è a un cambio di rotta nella sua produzione e Off paper è la serie che sancisce il suo affascinante approccio all’astrazione. Mentre in contemporanea al Museo di Capodimonte a Napoli è in corso un’altra sua monografica, curata da Achille Bonito Oliva, nella quale dominano le sue opere a tema scultoreo e classico.

La monografica di Milano segna una nuova tappa del viaggio di Pignatelli nella trascrizione del mondo. E’ caratterizzata da un’astrazione quasi tribale che presenta ancora qualche traccia di figurazione, opere che mi hanno molto affascinato e che portano echi lontani evocando lo stridore  di una pietra che migliaia di anni fa tracciava graffiti sulle rocce della Valcamonica. Sono segni che avvincono lo sguardo che in essi cerca storie e immagini senza trovare né le une ne’ le altre in modo compiuto.

Luca Pignatelli, Cosmographie 8818, tecnica mista su carta, 272,7 x 400

Luca Pignatelli, Cosmographie 8818, tecnica mista su carta, 272,7 x 400

Un altro gruppo di opere suggerisce poi un’astrazione più compiuta ma anche composta e calibrata. Sono segni che, come traduce Michele Bonuomo, curatore della mostra, sembrano voler misurare lo spazio. La ricerca sul segno è in queste opere importante quanto quella sui materiali che diventano essi stessi linee, fondi e campiture.

Luca Pignatelli, Icona, 2014, tecnica mista su carta intelata, 197 x 171,3

Luca Pignatelli, Icona, 2014, tecnica mista su carta intelata, 197 x 171,3

Le nuove opere hanno attirato un pubblico selezionato, fatto di collezionisti provenienti da tutt’Italia, giornalisti, critici, galleristi italiani e stranieri e il meglio degli artisti contemporanei. Sguardi sorpresi e affascinati, la circospezione di chi studia lungamente i pezzi da ogni angolazione come per carpire il segreto di una nuova ricerca artistica.

Luca Pignatelli, Off paper

30 maggio – 27 settembre 2014

M77 Gallery

Via Mecenate, 77, Milano

 

ARTE E RESISTENZA, PENNELLI E STEN

Arte e resistenza: un binomio che ha dato esiti diversi da Paese a Paese lasciando sempre tracce forti e documenti importanti.

In Italia la fascistizzazione di cultura e arte avvengono tra il 1925 e il 29. Un’arte di opposizione al fascismo si propone, salvo per poche eccezioni, solo sporadicamente prima del 1936. Più ci si inoltra nella Seconda Guerra Mondiale più l’iniziale speranza, che pervadeva la maggior parte degli artisti, scema lasciando spazio a disincanto e, in qualche fortunato caso, ad attivismo.

Un esempio? Renato Guttuso, con “Gott Mit Uns”: 24 tavole illustrate che raccontano gli orrori del nazifascismo.
Guttuso realizza questa serie tra il 1943 e il 1944, nascosto nella tipografia della rivista d’arte “Documento”, durante le lunghe serate di coprifuoco dopo aver partecipato attivamente all’ultimo tentativo di difendere la città dall’occupazione tedesca, dopo il quale entrerà in clandestinità e si unirà alla Resistenza in modo ancora più partecipe. Gott mit uns verrà esposta subito dopo la guerra alla Galleria La Margherita di Roma per poi essere pubblicata nel 1944 da Antonello Trombadori e. Nel 1960 uscirà una seconda edizione con la prefazione di Noventa.

Renato Guttuso, dalla serie "Gott Mit Uns"

Renato Guttuso, dalla serie “Gott Mit Uns”

Renato Guttuso, studio per la serie "Gott Mit Uns"

Renato Guttuso, studio per la serie “Gott Mit Uns”

cr1944b

Un altro grande attivista è Mario Mafai, per il quale l’arte è un fatto etico prima che estetico.

La partecipazione di Mafai alla Resistenza è totale, fino al limite dell’irresponsabilità. Di questo periodo l’editore Amerigo Terenzi ricorda:
Durante l’occupazione tedesca nel suo [di Mafai] studio si raccoglievano armi cospirative e si potevano incontrare i più diversi militanti antifascisti. Spesso capitava di trovare bombe, pistole e detonatori in cucina tra i bicchieri e magari in mezzo al carbone. Una volta fu persino smarrita una mina anticarro. Può essere considerato un miracolo se questa disordinata santabarbara non sia mai esplosa facendo saltare tutto il palazzo”.

Particolarmente significativa è la serie di 23 tavolette intitolata “Fantasie” e dipinte da Mafai tra il 1939 e il 1944. Questa serie, composta per urgenza espressiva personale più che per il pubblico, raffigura la barbarie nazifascista in modo piuttosto crudo e ricco di riferimenti a Grosz e a Goya.

mafai-fantasia-nc2b07-interrogatorio-in-via-tasso

Mario Mafai, “Fantasia n°7: interrogatorio in Via Tasso”

mafai-fantasia-nc2b01

Mario Mafai, “Fantasia n°1”

La seconda Guerra Mondiale e la dittatura nazifascista trasformarono profondamente l’arte europea e anche quella italiana. I dipinti di quegli anni parlano di identità frantumate, di una Storia che ha perso ogni appiglio nella logica e della cultura di un intero continente completamente rasa al suolo. Il linguaggio figurativo si adegua in modo tormentato a una nuova realtà senza più regole cercando un modo di narrare quello che mai si pensava potesse accadere. Emergono da questi dipinti la brutalità umana, il ritratto di un’umanità vilipesa e sacrificata che porta al moltiplicarsi delle opere con Crocefissioni.

Guttuso, Crocefissione, 1942
Renato Guttuso, Crocefissione, 1942

Giacomo Manzù, "il crocifisso e il generale", 1939-43Giacomo Manzù, “il crocifisso e il generale”, 1939-43

Nasce un nuovo linguaggio che cambierà per sempre il modo di fare arte e resterà come documento indelebile per le generazioni future.