Bruno Canova, “Mai più”, Giorno della Memoria 2017

Quest’anno il mio lavoro su Arte e Shoah In occasione del Giorno della Memoria sarà diverso da quello delle edizioni precedenti: non più una collettiva di artisti contemporanei ma una monografica di un autore storicizzato.

La mostra che ho curato e che sarà allestita a Palazzo dei Principi di Correggio dal 22 gennaio al 26 febbraio 2017 negli spazi espositivi del Museo Il Correggio sarà una personale di Bruno Canova.

L’esposizione fa parte di un progetto internazionale, curato da me e da Lorenzo Canova, che vede coinvolto l’Istituto di Cultura Italiana di Lisbona che ospiterà, in contemporanea alla mostra di Correggio, disegni e grafiche dello stesso autore.

bruno-banovaBruno Canova (1925 – 2012) è stato un grande interprete dell’arte italiana che ha vissuto la terribile esperienza del campo di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale. La mostra indagherà un aspetto in particolare della Shoah attraverso le opere di chi ha vissuto la guerra e la persecuzione in prima persona. Un approccio del tutto nuovo per esplorare ogni modo in cui l’arte può essere interprete e portavoce della storia.

Artista militante e antifascista, attivo nella Resistenza partigiana e per questo arrestato e deportato come prigioniero politico nel campo di concentramento di Brüx nel Sudetenland, Canova, nonostante il vissuto personale di oppositore politico, non ha messo solo il suo vissuto personale al centro del suo lavoro, ma ha dedicato molto spazio, nel suo narrare, alla persecuzione antiebraica. La maggior parte delle opere in mostra appartengono a un ciclo unitario di dipinti intitolato “L’arte della Guerra”, il cui nucleo principale risale agli anni ’70.  Si tratta di opere di medie e grandi dimensioni, fra le quali si distinguono numerosi collage realizzati con documenti, quotidiani e manifesti dell’epoca che danno al lavoro un taglio quasi scientifico.

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Bruno Canova, La Cosa immonda, 1974, collage, acrilico e tecnica mista su tela, cm. 153 x 222

Attraverso le opere di Canova è possibile trovare l’intera parabola di nascita, sviluppo e fine del Nazifascismo.

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Bruno Canova, La strage degli innocenti 2 (Grande Natura Morta), 1990, acrilico su tela, cm. 200 x 200

Il linguaggio artistico fortemente espressionista di Canova si intreccia ai documenti storici e ai ricordi personali in opere alle quali è impossibile sottrarre gli occhi e la coscienza. Nelle sue opere si trovano echi delle avanguardie di inizio Novecento, di Hieronymus Bosch e dei suoi quadri brulicanti di figure mostruose e disperate, della Neue Sachlichkeit ma anche dello stile degli amici e compagni con cui ha condiviso pittura e ideali: Renzo Vespignani, Mario Mafai,  Antonietta Raphaël. Quello di Canova è un simbolismo non onirico ma storico e  bellico al cui servizio è stata declinata la tecnica del collage, impiegata solitamente da movimenti artistici dai contenuti molto distanti da questo, come il futurismo e il dadaismo.

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Bruno Canova, 1938, 1973, collage, acrilico e tecnica  mista su masonite, cornice intagliata, cm. 186 x 123

Le opere di Bruno Canova sono dirette e senza compromessi, attingono trasversalmente a tecniche e riferimenti storico artistici, restano impresse a lungo negli occhi e nella memoria tenendo viva una pagina di Storia che non dev’essere dimenticata e allo stesso tempo aprono un discorso più ampio sulla guerra e sulle sue conseguenze.

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Bruno Canova, tavola del libro “L’arte della guerra”, 1969-1972, grafite e tecnica mista su carta applicata su lastre di zinco, cm. 35 x 50

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Bruno Canova, tavola del libro “l’arte della guerra”, 1969-1972, grafite e tecnica mista su carta applicata su lastre di zinco, cm 35 x 50

 

 

IN CONTEMPORANEA

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“smettila di lamentarti e inizia a fare”.

Così è nata la mia idea di “In Contemporanea”.

Fase 1: OSSERVAZIONE

Il mondo è cambiato e con esso le abitudini delle persone e il modo di fruire l’arte contemporanea.

Anche per i galleristi la vita è cambiata: si lavora sempre più on line, in fiera, su appuntamento. Sempre meno in galleria.

Ma le gallerie d’arte sono luoghi importanti. Non sono negozi, sono incubatori culturali, sono sedi espositive non istituzionali, sono luoghi di nascita di idee e progetti e punti di incontro. Insomma, sono gli ambienti in cui “si fa” l’arte contemporanea.

Che piaccia o no le gallerie influenzano sensibilmente il mondo dell’arte e ne determinano andamento e  futuro ed è un gran peccato che diventino luoghi virtuali e sempre meno “fisici”.

Anche gli appassionati di arte contemporanea sono cambiati, sono sempre più informati ed esigenti, abituati a stimoli sempre più sofisticati. Pretendono di più sia come qualità delle opere sia come “entratainment”.

Fase 2: RIELABORAZIONE

In molte città italiane ed Europee esistono circuiti del contemporaneo che si sviluppano fra realtà private.

A Reggio Emilia mancava. Perché non crearne uno e non cercare di dargli un taglio speciale? Del resto questa città ha fatto scuola in tanti settori, perché non fare uscire anche nell’arte contemporanea il “Reggio approach” diventato famoso in tutto il mondo con l’educazione?

Fase 3: REALIZZAZIONE

Reggio Emilia ha un numero alto di gallerie d’arte, tutte di qualità e specializzate in un settore, quindi in grado di accontentare le esigenze più varie: dallo storicizzato di alto livello, alle ultime tendenze, dai giovani emergenti alla ricerca di nicchia.

L’entusiasmo e la fattività emiliana non mancano e tutti hanno accolto con slancio, idee e voglia di fare questa iniziativa.

Così nel 2014 siamo partiti con la prima edizione.

Ogni anno In Contemporanea si arricchisce, i rapporti si cementano, le richieste di collaborazione aumentano.

E le gallerie tornano ad essere protagoniste, salotti culturali frequentati da collezionisti e artisti, imprenditori e amministratori pubblici, critici e giornalisti.

Ed è così che ci piace lavorare: “smettendo di lamentarci e iniziando a fare”.

In Contemporanea quest’anno propone:

manfredi-autoritratto-con-e-1971-olio-su-tela-61x47Galleria de’ Bonis

Viale dei Mille 44/B, Reggio Emilia, tel. 0522 580605, cell. 338 3731881, info@galleriadebonis.com, http://www.galleriadebonis.com.

“Rêve. Il sogno di Alberto Manfredi”

1-29 ottobre 2016

Inaugurazione: sabato 1 ottobre, ore 17.00

Venerdì 21 ottobre, ore 18.00, conversazione d’arte su Alberto Manfredi.

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Corso Garibaldi 43, Reggio Emilia, tel. 0522 435765, info@bonioniarte.it, http://www.bonioniarte.it.

Giacomo Cossio – Massimo Pulini, “Il destino dei fiori”

A cura di Nicolò Bonechi.

1 ottobre – 13 novembre 2016

Inaugurazione: sabato 1 ottobre, ore 17.00

enrico-della-torre-universo-fluviale-1989-olio-su-tela-tre-telai-assemblati-cm-116x220-copia2000&NOVECENTO Galleria d’Arte

Via Sessi 1/F,  Reggio Emilia,  tel. 0522 580143, duemilanovecento@tin.it, http://www.duemilanovecento.it.

Enrico Della Torre, “Figuratività dell’Invisibile”

1 ottobre – 13 novembre 2016

Inaugurazione: sabato 1 ottobre, ore 18.00

Sabato 22 ottobre, ore 18.00, presentazione del libro “Gioseffo Zarlino e la scienza della musica nel ‘500 dal numero sonoro al corpo sonoro” di Guido Mambella (Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 2016), in dialogo con il professor Cesarino Ruini e la professoressa Monica Boni.

untitled-001-anno-2015-tecnica-mista-su-polietilene-52x41-cm-copiaGalleria 8,75 Artecontemporanea

Corso Garibaldi 4, Reggio Emilia, cell. 340 3545183, ginodifrenna875arte@yahoo.it, http://www.csart.it/875.

Claudio Gaddini, “Lucide trasparenze”.

A cura di Chiara Serri

1-29 ottobre 2016

Inaugurazione: sabato 1 ottobre, ore 17.00

Sabato 8 ottobre, ore 17.00, narrazioni per bambini a cura di Galline Volanti.

daniele-vezzani-francesca-2016-grafite-su-cartasilvano-scolari-scimmia-concatenata-grafite-su-cartaRezArte Contemporanea

Via Emilia all’Ospizio 34/D, Reggio Emilia, tel. 0522 333351, cell. 393 9233135, cell. 338 1305698,  info@galleriarezarte.it, http://www.galleriarezarte.it.

Silvano Scolari – Daniele Vezzani, “Umano non umano”.

1 ottobre – 20 novembre 2016

Inaugurazione: sabato 1 ottobre, ore 18.00

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Via San Zenone 11, Reggio Emilia, cell. 335 8034053, simonini@zenonecontemporanea.it, http://www.zenonecontmporanea.it.

Daniele Cestari, “Altre visioni”

1-30 ottobre 2016

Inaugurazione: sabato 1 ottobre, ore 18.00

Venerdì 14 ottobre, ore 19.00 concerto jazz di Interno1 jazz council.

galliano-4-3VICOLO FOLLETTO ART FACTORIES

Vicolo Folletto 1, Reggio Emilia, info@vicolofolletto.it, http://www.vicolofolletto.it.

Daniele Gallliano, “rare-facto”

A cura di Flavio Arensi

1 ottobre – 6 novembre 2016

Inaugurazione: sabato 1 ottobre, ore 18.30

Sabato 8 ottobre e venerdì 28 ottobre, ore 23.00, “Una donna nella folla”, reading con Laura Pazzaglia.

Fase 4: INSERISCI UN NUOVO ELEMENTO

Una summa di tutte le mostre sarà la collettiva “In Contemporanea al Museo” che segna una nuova collaborazione fra le gallerie private e i Musei Civici di Reggio Emilia.

La collettiva, proporrà opere di tutti gli artisti che espongono nelle gallerie partecipanti per una visione d’insieme.

 

In contemporanea al Museo”

30 settembre – 30 ottobre 2016

Musei Civici di Reggio Emilia

Via Spallanzani 1, Reggio Emilia

Inaugurazione: venerdì 30 settembre, ore 18.00

Orari di apertura: da martedì a venerdì ore 9.00- 12.00, sabato, domenica e festivi ore 10.00-13.00 e 16.00-19.00.

L’edizione di quest’anno è stata possibile anche grazie grazie al supporto di:

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incontemporanea.eu

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Tobia Ravà e la Giornata della Cultura Ebraica 2016

 

Da secoli la stampa è lo strumento della divulgazione della cultura.

Incisioni e riproduzioni a varie tecniche, fin dal Rinascimento, hanno agevolato la conoscenza le opere degli artisti fuori dai loro atelier e sono state basilari per lo sviluppo dell’ Arte e della sua storia. Le mostre sono un’ invenzione relativamente recente: un tempo le opere venivano realizzate su commissione e passavano direttamente dall’atelier dell’artista alla destinazione del committente e, a meno che non si trattasse di commissioni per luoghi pubblici, una volta arrivate a destinazione erano visibili a pochi.

Le riproduzioni a stampa, più ancora dei disegni, hanno permesso alle opere di essere conosciute fino a molto lontano dalla loro area geografica di origine.

Lo stesso vale per i libri a stampa: una vera rivoluzione nel mondo del sapere, della quale la famiglia Soncino è stata protagonista.

Oggi, con i media che abbiamo a disposizione, dalla fotografia al video, da internet alla tv, il ruolo della stampa non è più quello di diffondere geograficamente la conoscenza dell’arte fra i conoscitori e gli addetti ai lavori ma di renderla accessibile a tutti. L’arte da bene di lusso per pochi, può diventare un bene di più ampio “consumo”, termine convenzionale ma quanto mai inappropriato al quale sarebbe da preferire l’espressione “strumento di crescita”.

Mostre temporanee e collezioni pubbliche permanenti rendono già avvicinabile l’Arte a chiunque ma le riproduzioni a stampa permettono anche l’avvicinamento al collezionismo per chi non desidera investire in più costose opere uniche e costituiscono un interessante punto di partenza per chi vuole avvicinarsi a questo mondo.

il ghetto di venezia - CopiaTobia Ravà, che alla sperimentazione tecnica ha sempre dato grande spazio, si è cimentato nella sua carriera con diverse pratiche incisorie, dalle antichissime acquaforte, acquatinta e puntasecca, alla serigrafia, passando per la linoleumgrafia, fino a tecniche meno consuete come la resinografia polimaterica, e la pirografia su plexiglass.

fiborosa 03 - Copia - CopiaL’incisione non è confinata a un suo periodo preciso ma ha sempre accompagnato tutta la sua produzione pittorica e scultorea come una costante sempre molto amata dal pubblico e abbraccia la sua prima produzione pre-numerica, di solito affrontata con le pratiche incisorie più antiche, fino alle sue più conosciute opere “Ghematriche”, che si inoltrano nel mondo della cabala e che Ravà affronta con tecniche incisorie più recenti e sperimentali.

Nelle opere a stampa di Tobia Ravà, così come nei suoi pezzi unici, la parola e i molteplici valori che le attribuisce la cultura cabalistica, sono protagoniste.

216La parola e la lingua sono il tema della Giornata della Cultura Ebraica del 2016 il cui titolo  è “Lingue e dialetti ebraici”. Il grande complesso della lingua Ebraica è stato definito dalla European Association for the Preservation and Promotion of Jewish Culture and Heritage (AEPJ) “una gioiosa Babele che attraversa millenni e continenti”.

Le opere di Tobia Ravà, sono complesse e affascinanti stratificazioni di significati, leggibili a più livelli, da quello più semplice, immediato ed estetizzante, fino a quello più profondo, ermetico e cabalistico.

La combinazione di lettere e numeri, che ai profani può apparire come una “gioiosa Babele”, è in realtà uno strumento straordinariamente colto e profondo per approfondire la conoscenza del mondo a livelli sempre più sottili.

La produzione a stampa di queste opere è, in parallelo, un mezzo prezioso per avvicinare un pubblico sempre più ampio all’Arte di Ravà e al mondo della Cabala.

 

Tobia Ravà

“Fogli celesti”

18 settembre – 9 ottobre 2016

Inaugurazione domenica 18 settembre, ore 11.30

Museo della Stampa -Casa Stampatori Soncino

Via Lanfranco, 6-8, 26029, Soncino (CR)

 

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LA CASA DEGLI STAMPATORI  EBREI E LA STORIA DELLA FAMIGLIA SONCINO

http://www.museostampasoncino.it

Così scriveva Israel Nathan al figlio nel colophon del primo libro da lui stampato.
“Tu costruirai l’edificio del mondo, innalzerai le corna della sapienza e produrrai libri mediante la stampa; in questo vi sono due utilità somme: l’una è che prestissimo se ne produrranno molti, fintanto che la terrà sarà colma di sapere, l’altra è che il loro prezzo non arriverà a quello dei libri scritti con la penna o con lo stilo e chi non avrà sostanze sufficienti per acquisti costosi li comprerà a vil prezzo e al posto dell’oro darà l’argento”
Masseket Berakot, 1483.

La storia della stampa si intreccia con il borgo di Soncino e con le vicende di una famiglia di ebrei provenienti da Spira, città tedesca situata vicino a Magonza. A causa delle numerose persecuzioni anti-ebraiche, la famiglia del medico-rabbino Israel Nathan fu costretta ad allontanarsi da Spira giungendo così a Soncino ove, sotto il benestare dei duchi di Milano, si insediò (1441) svolgendo inizialmente un’attività feneratizia. Proprio in quegli anni il borgo di Soncino viveva il suo rinascimento con un notevole sviluppo di iniziative artigianali, culturali e commerciali ed è in questa comunità tanto attiva che gli affari degli Ebrei prosperarono.

La fondazione del Monte di Pietà (1472), ubicato in prossimità della sede in cui operavano gli Ebrei, ne ostacolò il lavoro stimolandoli ad intraprendere una nuova attività, quella di stampatori. Israel Nathan ebbe dunque l’intuizione di applicare la recente tecnica della stampa a caratteri mobili alla sua lingua e di impiantare a Soncino una tipografia ebraica. Nel 1488 fu stampata la prima Bibbia completa di segni vocalici in ebraico. In una marca tipografica si legge: …. Da Sion uscirà la legge e la parola del Signore da Soncino…..

 

 

 

Palmira: da Tiepolo all’ISIS

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Ritratto di Zenobia, bassorilievo proveniente da Palmira, oggi al Museo Archeologico Nazionale di Damasco

Come si collegano Giambattista Tiepolo, pittore Veneziano del Settecento e la città di Palmira, oggi si tutte le cronache internazionali in seguito alle recenti devastazioni dello Stato Islamico?

Il nesso è la Storia raccontata dall’Arte.

Circa intorno al 1720 il nobile veneziano Alvise Zenobio commissionò a Giambattista Tiepolo un ciclo di dipinti probabilmente in occasione del matrimonio con Alba Grimani, anch’essa nobildonna veneziana.

Il soggetto scelto, in onore al nome di famiglia, fu Le Storie di Zenobia.

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Giambattista Tiepolo, La regina Zenobia arringa i suoi soldati, 1725/1730, olio su tela, Washington, National Galleri, Samuel H. Kress Collection

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Giambattista Tiepolo, Il trionfo di Aureliano, 1725/30, olio su tela, Torino, Galleria Sabauda

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Giambattista Tiepolo, Zenobia di fronte a Aureliano, olio su tela, 1725/30, olio su tela, Madrid, Museo del Prado

La storia di Zenobia, regina di Palmira (città dell’attuale Siria) dal 267 al 273, guerriera, coraggiosa, ambiziosa, ribelle e – sembra, bellissima -, si intreccia alle numerose leggende che la sua figura ha ispirato e che la vogliono, per esempio, discendente di Cleopatra, regina d’Egitto, di Semiramide, regina assiro babilonese e di Didone, regina di Cartagine.

Il suo nome latino era Julia Aurelia Zenobia ma, non essendosi mai sentita suddita dell’Impero Romano, usò sempre la forma aramaica Bath Zabbai (figlia di Zabba).

Zenobia prese spesso parte alle spedizioni militari accanto al marito Odenato VII, re di Palmira e si interessò sempre degli affari di corte.

Tra il 267 e il 268 fece assassinare il marito (il sicario era un certo Maconio, cugino o nipote di Odenato, tra l’altro), e gli successe al trono.

Una volta al potere, in uno slancio di ambizione molto simile a un delirio di onnipotenza, Zenobia intraprese una campagna di espansione militare senza precedenti il cui obbiettivo era non solo mantenere il regno di Palmira indipendente dall’Impero Romano ma addirittura creare un Impero d’Oriente per arrivare a sfidare quello di Roma, di cui la sua città era da tempo colonia.

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Il regno di Palmira alla sua massima espansione

Dopo la sua dichiarazione d’indipendenza dall’Impero Romano Zenobia, con un gesto fortemente simbolico,  iniziò a far coniare monete con la propria effige.

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Moneta con l’effige di Zenobia

L’imperatore Aureliano dopo un affronto del genere, mosse guerra a Palmira e la pose sotto assedio.

Zenobia, non intenzionata ad arrendersi, fuggì ma venne catturata e condotta a Roma dove fu costretta a sfilare come trofeo di guerra sembra – narra sempre la leggenda – legata con catene d’oro.

Gli ultimi giorni di Zenobia non sono univocamente narrati. Secondi alcune fonti li trascorse in una meravigliosa villa a Tivoli concessale dall’Imperatore, secondo altre si sarebbe lasciata morire di fame piuttosto che subire l’onta della prigionia.

Un grande tema epico per un giovane pittore, Tiepolo, qui non proprio alle prime armi ma ancora nella sua fase giovanile, già comunque in procinto di affermarsi come Maestro indiscusso.

I dipinti principali della serie, in seguito a vendite e passaggi di proprietà, sono ora alla National Gallery di Washington (Zenobia che arringa i soldati), al Museo del Prado di Madrid (La sottomissione ad Aureliano) e alla Galleria Sabauda di Torino (Il Trionfo di Aureliano).

Palmira oggi.

Nel marzo 2016 le truppe del regime siriano di Bashar Al Assad insieme all’aviazione russa hanno riconquistato, dopo 10 mesi di occupazione, la città di Palmira, caduta in mano ai combattenti dello Stato Islamico.

Il sito archeologico, uno dei più importanti del mondo, non è stato raso completamente al suolo, come si temeva ma è stato gravemente danneggiato.

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Palmira, 31 marzo 2016, i resti dell’Arco di Trionfo, foto Joseph Eid/AFP/Getty Images

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Palmira, 31 marzo 2016, i resti del tempio di Baalshamin, foto Joseph Eid/AFP/Getty Images

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Palmira, 31 marzo 2016, i resti tempio di Bel, foto Joseph Eid/AFP/Getty Images

Fermo restando che negli eventi bellici le perdite più gravi sono sempre le vite umane, i danni causati dallo Stato Islamico a Palmira che è uno dei siti archeologici più importanti del Medio Oriente, teatro della storia di Zenobia, sono una grave perdita per la memoria storica del mondo intero; un tentativo, fortunatamente non riuscito fino in fondo, di assoggettare una città-simbolo di un glorioso passato di cultura e ribellione.

 

Tobia Ravà. Da’at I numeri della creazione

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Domenica 17 aprile 2016 ha inaugurato al Palazzo Ducale di Sabbioneta, umanistica “città ideale” in provincia di Mantova,  un’ampia personale di Tobia Ravà dal titolo “Da’at, I numeri della creazione”. Circa novanta opere che si dipanano in undici sale partendo dai poco conosciuti dipinti pre-numerici e spaziano tra pittura, scultura, grafica e lightbox.

 

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Tobia Ravà

Per un critico confrontarsi con Tobia Ravà è sempre una bella occasione per tornare alle radici del proprio lavoro: interpretare un mondo e avvicinarlo al pubblico, obiettivo che la critica d’arte tende a volte a perdere di vista abbandonandosi a virtuosismi con l’intento di fare a propria volta un’opera d’arte letteraria.

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Tobia Ravà, Dag cabal tropicale verde, 2014, bronzo da fusione a cera persa tirato al nitrato di ferro, cm. 47 x 29 x 14

Mi ha sempre affascinato la complessità dei livelli di lettura nelle opere di questo artista: sono bellissime al primo approccio, nella loro profondità prospettica e nell’unicità del loro stile, ma è quando si scopre la stretta interconnessione significante tra le lettere e i numeri che le compongono che si capisce di essere di fronte a una porta aperta su altri livelli. Lettere e numeri non solo concorrono a creare il soggetto dell’opera ma arricchiscono il suo significato attraverso la loro combinazione cabalistica.

La visione del mondo di questo artista è stimolante e costringe a mettersi in gioco e ad andare oltre i binari dell’arte contemporanea: Ravà affonda le proprie radici nella cultura ebraica, per lo più poco nota al mondo dei “gentili” e, all’interno di questa, spazia nel territorio di alcune correnti mistiche di interpretazione complessa, dalla Kabbalah al Chassidismo. Ciò che Ravà attinge da questi ambiti ermetici lo rielabora e lo restituisce attraverso modalità espressive assai diversificate: dalla pittura alla scultura, passando per i lightbox.

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Tobia Ravà, I lombi del miracolo, Bosco camomilla, 2016, resine e tempere acriliche su tela, cm. 80 x 60

Le opere di Ravà sono uno strumento di comprensione del mondo che avanza, come un processo alchemico, per stadi progressivi e, se si vuole procedere oltre il primo affascinante livello estetico, si trovano nascoste alcune chiavi di interpretazione: lettere e numeri che compongono i suoi soggetti, secondo l’interpretazione cabalistica, sono un mezzo per dare un ordine al caos del mondo.

Maria Luisa Trevisani, curatrice della mostra insieme a Mauro Romanini, ha definito lo stile di Ravà “concettualismo estetico” e mai definizione mi è parsa più adeguata.

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Tobia Ravà, Codice RaMHal, 2010, raso acrilico, sublimazione bifacciale, cm. 178 x 135

Leggere l’ordine dell’universo significa scoprire la perfezione divina che si manifesta nella materialità sensibile del regno vegetale, animale e umano. Ravà rappresenta raramente l’uomo in modo diretto ma piuttosto attraverso le architetture, frutto del suo intelletto, che hanno antropizzato l’ambiente.

Il titolo della mostra “Da’at, i numeri della creazione”, fa riferimento a Da’at, sfera della conoscenza all’interno dell’albero sefirotico della vita, e suggerisce proprio questo processo.

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Tobia Ravà, Jerusalem – Codice celeste, 2012, sublimazione su raso acrilico, cm. 170 x 117

La bellezza di ogni opera nasconde una via d’ accesso alla conoscenza attraverso la quale si inizia un viaggio alla scoperta dell’universo sensibile.

 

In occasione di questa mostra è stato edito un catalogo che include anche un mio testo accanto a quelli di Maria Luisa Trevisani, Gadi Luzzato Voghera, Ermanno Tedeschi, Siro Perin, Giuseppe Balzano, Roy Doliner e un’intervista di Arturo Schwarz a Tobia Ravà.

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Tobia Ravà

Da’at. I numeri della creazione

A cura di Maria Luisa Trevisani e Mario Romanini

Sabbioneta (MN), Palazzo Ducale

17 aprile – 29 maggio 2016

 

Cosa si compra quando si compra un’opera d’Arte

BUY ARTCapita che, chi non è avvezzo al mercato dell’Arte fatichi a capire i prezzi, a volte anche alti –ma è sempre tutto relativo- dell’Arte contemporanea.

Cosa si compra quando si compra un’opera d’arte?

Si compra un pezzo di Storia, il documento di un’epoca.

Si compra un’idea.

Si compra una visione del mondo.

Si comprano anni di studio.

Si compra una porta che si apre su un altro mondo parallelo, non verbale, non razionale.

Si compra uno specchio che riflette non il nostro aspetto fisico ma la nostra anima.

Comprare un’opera d’arte è conoscere cose nuove.

Ma soprattutto comprare un’opera d’arte è come innamorarsi. Non si comprano sempre opere belle, secondo il senso estetico comune, si comprano opere in cui ci riconosciamo.

 

Correggio e Parmigianino, Arte a Parma nel Cinquecento

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Due opere del Correggio, La Pietà e il disegno per il parapetto della Cattedrale di Parma, di proprietà  della Fondazione “Il Correggio”, della quale ho l’onore di essere vice-presidente, sono presenti alla mostra “Correggio e Parmigianino, arte a Parma nel Cinquecento” dal 12 marzo al 26 giugno 2016 alle Scuderie del Quirinale di Roma.

La mostra, della quale la Fondazione è uno degli enti patrocinatori, è curata da David Ekserdjian, uno dei più importanti studiosi del Correggio e si preannuncia un grande successo, con opere incredibili provenienti da mezzo mondo.

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La Pietà (olio su tavola, cm. 34,2 x 29,2) è un’opera giovanile, databile indicativamente fra il 1518 e il 1520. Acerba per alcuni versi ma estremamente raffinata per altri. Il primo aspetto che balza all’occhio è la narrazione affettiva del soggetto, nella quale Correggio era maestro e grazie alla quale si è distinto su tutti i suoi contemporanei. Il soggetto deriva direttamente dalla tipologia del Vesperbild tedesco, la raffigurazione della Madonna con in grembo il corpo del Cristo morto, poco diffusa in Italia fra fine Quattrocento e inizio Cinquecento e trattata da Correggio in questa piccola tavola ad uso devozionale, con grande intimità, ponendo l’accento più sul legame umano fra Maria e Cristo che sul loro ruolo divino. In particolare la vicinanza dei volti fra i due personaggi è un elemento nuovo in questo tipo di raffigurazione come anche il modo della Vergine di sorreggere la gambe del figlio, accavallando la destra sulla sinistra per non fare scivolare il corpo. Entrambi i gesti sono un modo di Maria di stringere a sé il figlio privo di vita in un ultimo, toccante abbraccio.

Un altro elemento imprescindibile di quest’opera è il paesaggio sullo sfondo: uno squarcio di luce che illumina la scena piuttosto cupa. Il fondo arboreo del dipinto si apre, sulla sinistra in una veduta chiara e nebbiosa, composta per velature delicate, che rivela il debito del Correggio con la pittura di Leonardo da Vinci.

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Lo Studio per il parapetto della Cattedrale di Parma, un piccolo disegno a sanguigna e inchiostri su carta, oltre ad essere un documento  del “making of” del capolavoro epocale del Correggio maturo, la cupola affrescata del Duomo di Parma, ci mostra la straordinaria abilità dell’Allegri disegnatore.

Il Correggio, noto per il suo colorire, mostra in quest’opera tutta la sua padronanza del disegno e della composizione, rivelando di essere un artista completo, padrone dei volumi corporei e di un tratto morbido e deciso allo stesso tempo.

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I due prestiti della Fondazione Il Correggio alla mostra romana dunque aprono e chiudono la parabola artistica del Correggio, accompagnandoci dalla sua giovinezza alla sua maturità attraverso strumenti espressivi diversi, nella conoscenza di questo colosso del Rinascimento.

Un’altra opera presente in mostra, alla quale la nostra Fondazione è particolarmente legata, è “Il Creatore in gloria fra gli angeli”, dei Musei Vaticani. La tela, cimasa del Trittico di Santa Maria della Misericordia, smembrato e disperso, per la prima volta esce dai Musei Vaticani per una mostra come originale del Correggio e non più come “maniera del Correggio” dopo la nostra riattribuzione.

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Fra gli sponsor della mostra non si può non citare Webranking, azienda leader nel search marketing con base a Correggio, che ha creduto nel sostegno della cultura e delle eccellenze artistiche del territorio.

 

HYENA SOLO SHOW2001-2016, quindici anni di opere

 

 

Dieci anni insieme a un artista sono tanti e in un decennio si impara a conoscersi davvero bene.

Ho iniziato a lavorare con Hyena nel 2006. Ho visto nascere il suo lavoro, discusso fino a tarda ora di nuovi progetti, scritto tantissimi testi critici, comprato e venduto non so più quante opere.

Hyena ha tutte le caratteristiche che deve avere un artista di successo:

– ha una grande curiosità accompagnata da una cultura multidisciplinare che spazia dalla pittura, al cinema alla musica, fino alla poesia

– ha uno stile definito che si riconosce fra mille tentativi di imitazione e che sa rinnovarsi pur rimanendo fedele a sé stesso

– è un vero professionista, serio, concreto e affidabile (perché con la formula “genio e sregolatezza” non si va da nessuna parte)

Seguire un artista nella doppia veste di critico e mercante è un’ esperienza ricca e varia il cui esito naturale non poteva che essere una mostra monografica per celebrare i suoi primi 15 anni di carriera.

“Hyena Solo Show, 2001 – 2016, quindici anni di opere” è un percorso che si snoda attraverso tutti i capitoli principali della storia di Hyena.

La mostra si apre con “Catone e la Route 181”, progetto con il quale Hyena mosse i primi passi nell’arte contemporanea, con scatti realizzati nel sud della Francia, a Saintes-Maries-de-la-Mer, durante il raduno dei gitani per la festa di Santa Sara nel 2001.

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Catone e la Route 181, 2003, tecnica mista su metallo, cm. 75 x 100

Ampio spazio è dedicato alle serie sul nudo femminile che hanno reso famoso l’artista e che celebrano la donna sotto diversi aspetti, da quello di “dea madre” a quella di “compagna e amante”.

Hyena, 70100, Venere XXI, 2006, tecnica mista su juta, 150 x 100

Venere XXI, 2006, tecnica mista su juta, 150 x 100

Presenti, inoltre, opere della serie “Landscape”, che coniuga suggestioni padane con il paesaggismo giapponese passando attraverso echi nordeuropei,

hyena, albero, 80x120, 2010 arch. 1008 per mail

Landscape, 2010, tecnica mista su tela, 80 x 120

accanto alle opere della suggestiva serie “Roots” con i suoi alberi dalle radici fluttuanti nel vuoto

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Roots, 2009, tecnica mista su tela, cm. 130 x 90

La passione per la musica, che da sempre accompagna Hyena accanto a quella per la fotografia, ha dato vita alla serie “II/IV/I” dedicata al jazz e alla danza contemporanea con le prime opere che contengono movimento e un accenno di colore.

Hyena, MMVIII, PAG 59, 2008, 120 x 100, x mail

Senza titolo, 2008, tecnica mista su tela, cm. 120 x 100

Hyena, 80103, MMVIII, pag 31, 2008, 120 x 100 x mail

Senza titolo, 2008, tecnica mista su tela, cm. 120 x 100

Ultimo lavoro, infine, la serie “Vanitas”, nature morte di ispirazione rinascimentale che riflettono sulla caducità della vita.

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Vanitas, 20016, tecnica mista su tela, cm. 80 x 80

In mostra ho dato spazio anche a anche diverse curiosità, importanti nel percorso artistico di Hyena, dai libri d’artista a video e cortometraggi.

Hanno sostenuto la mostra Comune di Correggio, Galleria de’ Bonis, Banca Generali Private Financial Planner

Non vi resta che andarla a vedere.

Hyena, Solo Show

2001 – 2016, quindici anni di opere

A cura di Margherita Fontanesi

Museo “Il Correggio”, Palazzo dei Principi, C.so Cavour, 7, Correggio (RE)

27 febbraio – 27 marzo 2016

Orari di apertura: sabato 15,30-18,30, domenica 10-12,30 e 15,30-18,30, gli altri giorni su appuntamento.

Catalogo disponibile in mostra.

Info: tel. 0522 691806, museo@comune.correggio.re.it, http://www.museoilcorreggio.org

solo show

 

 

Il Segreto dei Giusti

 

Da dove nasce una mostra?

Questa in particolare è nata da un luogo: il Giardino dei Giusti del museo Yad Vashem di Gerusalemme, Il Memoriale per la Shoah, dove ho incontrato le storie di uomini che hanno rischiato la vita per salvare altri uomini.

Poi l’idea di questa mostra si è rafforzata con la lettura di un libro: “La bontà insensata, il segreto degli uomini Giusti” di Gabriele Nissim che sonda il confine fra eroismo e normalità affrontando tante storie di vite strappate alla Shoah.

Infine si è sviluppata con l’incontro di artisti e galleristi speciali che mi hanno prestato o prodotto per questa occasione opere stupende con le quali abbiamo messo in luce quello che è il segreto degli uomini Giusti.

Non da ultimo è stato determinante il contributo di alcuni storici con i quali  ho avuto importanti scambi di opinioni che mi hanno aiutato a non farmi confondere dall’emotività perché non è con questa che si capisce la Storia  e nemmeno si fa una buona mostra.

Una leggenda ebraica che compare nel Talmud di Babilonia narra che, dall’inizio del mondo fino alla fine dei giorni, ci siano sempre 36 uomini giusti, inconsapevoli di esserlo e ignoti a tutti;  uomini che svolgono lavori umili, dai quali dipende il destino dell’umanità. È grazie a loro se Dio risparmia il mondo dalla distruzione nonostante i peccati degli uomini.

Secondo la leggenda ogni volta che uno dei Giusti porta a termine il suo compito e scompare viene sostituito da un altro .

Uno dei compiti dell’Arte Contemporanea dovrebbe essere quello di interpretare la realtà odierna e renderla più comprensibile. Gli artisti hanno una sensibilità particolarmente acuita che permette loro di captare i cambiamenti nella società e nella Storia nonostante la ridottissima distanza temporale che, come sempre quando si è troppo a ridosso dall’oggetto dell’osservazione, li rende incomprensibili ai più.

Gli artisti dovrebbero essere insomma le avanguardie del nostro tempo e interpretarne lo spirito, quello che Hegel, nelle sue lezioni sulla filosofia della storia, chiamava Zeitgeist.

Il linguaggio per immagini dell’Arte figurativa, elude la ragione e viene interpretato direttamente dalla sensibilità individuale. Fa appello a una sfera emotiva di vissuto personale che può diventare una leva importante per muovere e sostenere la ragione nella comprensione di fatti più grandi dell’Uomo.

Troppo raramente l’Arte Contemporanea si accosta ad altre discipline come strumento di conoscenza complementare e questa sua assenza la impoverisce molto relegandola spesso a status symbol intellettuale, a nicchia di speculazione filosofica per pochi o, peggio ancora, finisce per chiudersi in un circolo autoreferenziale in cui chi la produce, chi la interpreta, chi la espone e chi la vende fa riferimento solo ad essa stessa isolandola dal resto del mondo.

Se quella dei 36 Giusti è una leggenda biblica, l’esistenza di tanti Giusti fra le Nazioni è realtà.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, in tutto il mondo, persone eccezionali nella loro normalità, hanno salvato tantissime vite umane dalla Shoah.

Nel 1963 il museo Yad Vashem, ha istituito una commissione, guidata da un membro della Corte Suprema Israeliana che, con rigorosi criteri di selezione, ha iniziato a valutare le storie degli ebrei salvati dall’Olocausto. “Giusto fra le Nazioni” è il riconoscimento più alto per lo Stato israeliano e la commissione dello Yad Vashem garantisce ai Giusti comprovati la Nazionalità onoraria, un sostegno economico e, in caso di necessità, un sostegno per le cure mediche. Fino agli anni Novanta per ciascuno dei Giusti riconosciuti veniva piantato un albero nel Giardino dei Giusti del museo poi, essendo terminato lo spazio per le piantumazioni, i loro nomi hanno trovato posto in un muro all’interno del giardino stesso.

Mirko Baricchi, Paul Beel, Ariela Böhm, Alfio Giurato, Fosco Grisendi, Ester Grossi, Lea Golda Holterman, Federico Infante, Massimo Lagrotteria, Marco Martelli, Matteo Massagrande, Sonia Maria Luce Possentini, Matteo Pugliese, Tobia Ravà, Max Rohr, Matteo Tenardi, Wainer Vaccari sono gli artisti che ho scelto per raccontare questa pagina di Storia.

Il Comune di Correggio, Galleria de’ Bonis, Bonelli Lab, Bonioni Arte, Punto sull’Arte, Cardelli & Fontana Arte Contemporanea , Galleria Restarte, Spazio Testoni, Federico Rui Arte Contemporanea  e M77 Gallery sono stati i partner che hanno reso possibile questa mostra.

Il conteggio della commissione di Yad Vashem è arrivato a riconoscere ad oggi  25.700 Giusti, dei quali 634 italiani .

Un numero così superiore al 36 della leggenda del Talmud restituisce una certa speranza nell’umanità e nelle persone sulle quali il suo destino poggia.

 

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MATER: Percorsi simbolici sulla maternità

Correggio, Pietà, 1512 ca., Museo Civico, Correggio

Correggio, Pietà, 1512 ca., Museo Civico, Correggio

Una piccola Pietà del Correggio, un biberon archeologico, la Venere degli Stracci di Pistoletto, due video di Bill Viola.

Ma anche l’Annunciazione di Luca Signorelli, una Dea Madre del IV sec. a.C. e una scultura dii Aron Demez, passando per la Madonna della Misericordia di Bartolo di Fredi e la Maternità di Gino Severini.

Lo so, letto così questo elenco sembra un guazzabuglio artistico senza senso di quelli che vanno di moda adesso e invece è una bellissima mostra: Mater, percorsi simbolici sulla maternità, visitabile fino al 28 giugno al Palazzo del Governatore di Parma.

MATER

Se non lo fosse non avremmo mai prestato la nostra Pietà, un giovanile olio su tavola del Correggio, databile 1512 circa, di proprietà della Fondazione Il Correggio dal 2002 dopo essere appartenuta alla National Gallery di Washington e alla Pierpont Morgan Library di New York.

La tavola risente stilisticamente dell’influenza Mantegnesca nell’anatomia che pur si rivela un po’ rigida, vista la data precoce e Leonardesca in quel prezioso paesaggio nebbioso che si apre in alto a destra e che forse è il punto più alto di tutto il dipinto.

La nostra Pietà si trova in una saletta insieme ad altre due opere accostate in modo decisamente non convenzionali: Un grande dipinto di Hayez e un video di Bill Viola.

Questa insolita scelta di accostamenti caratterizza l’intera mostra il cui tema ampio e non nuovo poteva portare a scelte molto più scontate e noiose che sono state saggiamente tralasciate per impostare  invece una mostra sorprendente che punta molto sul “wow factor”.

170 opere dei più grandi nomi della Storia dell’Arte di tutti i tempi partendo dall’ opera più antica che risale al IV millenio a.C. arrivando all’opera più recente del 2014 in un alternarsi di antico e moderno che tiene viva l’attenzione lasciando lo spettatore via via più sorpreso davanti ad ogni opera.

Ciò non significa che i nomi altisonanti degli autori e i loro accostamenti anche estremi all’interno di una stessa sala, siano stati scelti a discapito dei contenuti. La mostra è corredata infatti da un ricco corpus di approfondimenti storico-artistici (e sociali).

La maternità racchiude in un’unica immagine il mistero della vita nell’Universo, segnando l’irruzione del tempo del singolo essere umano nell’immensità dell’infinito. In questo miracolo della materia, che genera e pensa se stessa, permane il più grande mistero della vita.

Ideata da Elena Fontanella, curata da Annamaria Andreoli, Elena Fontanella e Cosimo Damiano Fonseca, la mostra si sviluppa attraverso 4 macro sezioni:
I sezione: COSMOGONIE E DEE MADRI: LA MATERNITÀ DELLA TERRA E LA MATERNITÀ DEL CIELO

Questo primo gruppo di opere definisce La maternità come rappresentazione fisica del costante rapporto dell’Umanità con il Divino ed esplora archetipi multiculturali antichi come il mondo.

Dea Iside, XXVI dinastia Regno di Amasi,  Museo Egizio, Firenze

Dea Iside, XXVI dinastia Regno di Amasi, Museo Egizio, Firenze

II sezione: MATERNITÀ RIVELATA

Questa sezione racconta la decisiva svolta simbolica nella rappresentazione artistica della Maternità dopo il riconoscimento di Maria come Madre di Dio dal Concilio di Nicea nel 325 d.C.

Luca Signorelli, Annunciazione, 1491,  Pinacoteca Civica, Volterra

Luca Signorelli, Annunciazione, 1491, Pinacoteca Civica, Volterra

III sezione: DALLA MATERNITÀ SACRA ALLA MATERNITÀ BORGHESE

La trasformazione della famiglia in ambito borghese ottocentesco ha modificato l’ideale di sacralità della maternità. Nella sezione si analizza il forte squilibrio sociale creato dalla rivoluzione industriale che farà da sfondo al recupero della maternità come valore nuovo.

Gino Severini, Maternità, 1916, Museo dell'Accademia Etrusca, Cortona

Gino Severini, Maternità, 1916, Museo dell’Accademia Etrusca, Cortona

IV sezione: IL SECOLO BREVE: EMANCIPAZIONE DELLA FIGURA FEMMINILE DAI TEMI ARCHETIPICI

La sezione sottolinea il tema della Maternità nell’arte del Novecento e delle sue Avanguardie. Ne emerge non più una figura di madre astratta e chiusa in una propria femminilità sacrale, ma una figura in reale competizione con il quotidiano, in cui è la donna – affrancandosi dalla condizione esclusiva di madre – che determina nell’arte una variazione della propria iconografia La maternità sacra si trasforma in femminilità seduttiva e il senso procreativo cede il passo a una rappresentazione estetica concettuale.

Michelangelo Pistoletto, Venere degli stracci, 1967, Cittadellarte, Fondazione Pistoletto, Biella

Michelangelo Pistoletto, Venere degli stracci, 1967, Cittadellarte, Fondazione Pistoletto, Biella

Al di là dei grandi nomi trovo che alcuni pezzi si distinguano per la loro forza espressiva e rivelino l’occhio attento e coraggioso dei curatori che hanno saputo percorrere trasversalmente la Storia dell’Arte senza fermarsi solo sulle “tappe obbligate”. Fra questi non si scordano gli occhi sbarrati di una delle due madri di Raffaele Borrella (1918),

Raffaele Borella, Le due madri,  1918, collezione Intesa Sanpaolo

Raffaele Borella, Le due madri, 1918, collezione Intesa Sanpaolo

la sensualità quasi animalesca e al tempo stesso sacrale della scultura di Aron Demez, artista per cui ho un debole e che trovo estremamente spirituale. Incredibilmente intensi sono anche i due video di Bill Viola che hanno entrambi in sé qualcosa di struggente e si collocano su un confine immaginario fra antico e moderno. Fortissimo nella sua crudezza è “L’altare della sterilità” di Andi Kacziba, un’ installazione fatta di piccoli sacchetti di tela grezza tinti di rosso come uteri pieni di sangue.

Andi Kacziba, Altare della sterilità, 2014

Andi Kacziba, Altare della sterilità, 2014

Qualche altro buon motivo per andare a vedere “Mater”? In mostra ci sono anche Tiepolo, Filippo Lippi, Luca Signorelli (!), Rosso Fiorentino(!!), Max Ernst, Guido Crepax (ebbene si), Auguste Rodin, Lucio Fontana (poteva mancare?) e molte altre sorprese che non vale la pena rivelare subito.

MATER. PERCORSI SIMBOLICI SULLA MATERNITÀ
PARMA, PALAZZO DEL GOVERNATORE
(Piazza Giuseppe Garibaldi 2)
8 MARZO – 28 GIUGNO 2015
Orari:
lunedì: CHIUSO
martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, domenica: 10:00-20:00
sabato: 10:00-23:00

Informazioni:
www.mostramaterparma.it

Facebook: mostramater
Twitter: @MaterParma
Instagram: mostramaterparma