Art Galleries in the social media era

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Challenging

Questo è il termine che sintetizza la lecture  che ho seguito martedì 28 aprile alla Bocconi riguardo al ruolo delle gallerie d’Arte nell’epoca dei social media.

Ha moderato l’incontro Marc Spiegler, global director di Art Basel e hanno partecipato come relatori i galleristi:

Maria Bernheim – Maria Bernheim, Zurich
Emanuela Campoli – Campoli Presti, Paris, London
Francesca Kaufmann –  Kaufmann Repetto, Milano, New York
Oliver Newton – 47 Canal, New York

Nonostante fossero più i sostenitori della presenza delle gallerie sui social network che i detrattori la presenza anche di pareri non favorevoli ha alzato il livello del dibattito rendendolo più sfaccettato e permettendo di fare luce sui pro e i contro di un nuovo capitolo della storia del mercato dell’Arte e del collezionismo.

Il mondo oggi si sta spostando in gran parte on line ed è utopico – e a parer mio sbagliato – che le gallerie d’Arte ignorino l’esistenza dei social media e ne stiano fuori con un atteggiamento snobistico verso il mezzo o iperprotettivo verso i propri artisti.

Personalmente, come gallerista, constato che molti dei miei clienti (e molti dei potenziali tali) sono sui social network e spesso ci contattano privatamente dopo aver visto nostre opere anche sulla nostra pagina Facebook. Questo è un fenomeno in lento ma costante aumento, mentre i contatti dal sito o dalla newsletter sono ormai all’ordine del giorno. Ma questi non sono social network.

Secondo alcuni i social media sono i “bignami” dell’arte e danno informazioni superficiali che banalizzano la cultura artistica e disincentivano la buona abitudine di leggere articoli di spessore.

Se sul fatto che la critica d’Arte sia penalizzata dalla fast-culture dei social sono d’accordo, non credo invece che la comunicazione di una galleria attraverso di essi possa portare via i clienti dallo spazio espositivo.

Chi compra Arte non rinuncerà mai a vedere le opere dal vivo e ben sa che le foto, pur essendo preziosissimi strumenti di lavoro, non rendono mai giustizia ai pezzi.

Soprattutto per gallerie giovani o delocalizzate rispetto ai grandi centri i social network possono diventare importanti.
Ma non basta esserci è importante anche il modo in cui si usano: un uso scorretto, trascurato, inadeguato al linguaggio social può avere l’effetto negativo di un boomerang penalizzando la galleria.

E qui subentra il challenge, la sfida che si pone alle gallerie d’Arte: trovare il giusto modo di comunicarsi e soprattutto invitare gli utenti del web ad andare in galleria, alle fiere agli eventi.

In una parola creare attesa, non esaurire in un post l’interesse del pubblico ma farlo nascere con quel post.

Non solo pubblicare un’opera e una didascalia o  dare una notizia ma produrre contenuti con il linguaggio adatto. Contenuti che iniziano a essere fruiti on line ma devono essere completati dal vivo.

I post di una galleria secondo me devono essere come uno strip-tease: devono stuzzicare, non soddisfare completamente l’interesse del pubblico, devono far nascere il desiderio di un approfondimento. E di conseguenza la galleria deve essere pronta anche alla seconda fase, quella dell’approfondimento nel proprio spazio espositivo.

Mettere on line una galleria è come mettere una barca in mare, ma poi bisogna soffiare nelle sue vele nella giusta direzione per farla andare lontano.

Qual è la giusta direzione? Qual è il giusto modo di parlare a un cliente sui social? Non credo ci sia una risposta univoca: ogni galleria ha uno stile diverso e followers diversi, anche in fase differenti del loro cammino dell’arte, chi neofita chi già esperto o collezionista. Per capire cosa è giusto fare bisogna osservare molto: osservare come comunicano le istituzioni culturali, un certo tipo di pubblicità, le riviste specializzate, ma anche assecondare la propria personalità e il proprio stile di gallerista.

La stragrande maggioranza degli artisti inoltre usa i social network e anche questo fattore dev’essere tenuto presente dalle loro gallerie di riferimento che non credo possano permettersi di non essere a loro volta presenti. Sta poi nella correttezza dell’artista coordinarsi con la propria galleria per non “bruciare” pezzi e nuove serie pubblicandoli prima della galleria che magari ha in programma una mostra o un evento, come faceva notare Emanuela Campoli, nel rispetto della libertà dell’artista ma anche del lavoro di squadra che si fa con il proprio gallerista.