Nazismo, arte e propaganda

Otto Von Kursell, ritratto di Hitler

Otto Von Kursell, ritratto di Hitler

La propaganda è un sistema di informazione parziale volto a plasmare le opinioni ed i comportamenti delle masse[1].

Nell’analisi del rapporto fra arti figurative e Shoah è importante comprendere prima di tutto come il Reich si sia servito dell’Arte come principale strumento di propaganda.

Nel 1933 Hitler istituisce il Ministero della Propaganda alla cui guida pone Joseph Goebbels. Il Ministero ha l’obbiettivo di uniformare la cultura tedesca ed allinearla al pensiero Nazista o meglio, metterla al suo servizio.

I principi guida della perfetta macchina del consenso tedesca sono semplici e chiari:

– La propaganda è emotiva e non razionale
– deve essere compresa dai meno educati membri della società
– le immagini parlano più chiaramente delle parole
– una bugia grossa è più sostenibile di molte piccole
– accusa i tuoi oppositori di ciò che tu stesso stai facendo

Nel Mein Kampf Hitler dichiara:

La propaganda è un’arma terribile in mani esperte…. Tutta la propaganda deve essere popolare ed il suo livello intellettuale deve essere regolato sull’intelligenza più limitata tra coloro verso cui è diretta“.

Le immagini si prestano benissimo allo scopo di “educare” perché possono essere immediatamente comprensibili e, a differenza della parola scritta, sono interpretate dall’emisfero destro del cervello, più legato a un tipo di comprensione empatica che non logica e fanno leva sulle emozioni più che sulla ragione.

Hitler tiene sei discorsi sull’arte stampati in sei pamphlet separati contenenti la sua visione della politica.

La politica stessa viene vista come una forma d’arte come dichiara Goebbels:

Anche la politica è un’arte… e noi che diamo forma al moderno sistema Tedesco ci sentiamo artisti a cui è stata data la responsabilità di formare, dal grezzo materiale della massa, la solida struttura di un popolo…..questo è il dovere (dell’artista), quello di dare forma, di togliere la malattia per creare la libertà della salute.”

L’arte dunque, plasmata attraverso la propaganda, era diffusa fra i tedeschi in modo capillare con lo scopo di creare quella mentalità che rese possibile l’Olocausto; mentalità alla cui base era stato costruito un forte senso di orgoglio e solidarietà nazionale e un profondo antisemitismo.

La diffusione di questa arte addomesticata avveniva in diversi modi:

– con mostre come Entartete Kunst (Arte degenerata) che mettevano in ridicolo tutte le avanguardie artistiche che fiorivano in Europa in quel periodo e che avevano presentito i pericoli del regime nazista e l’involuzione delle democrazie europee. (Ne ho parlato qui).

arte degenerata.locandina

– con mostre che esaltano la nuova arte di regime come Grosse Deutsche Kunstaustellung (La mostra della grande arte tedesca, ne ho parlato qui).

grande arte tedesca locandina

– con pubblicazioni rivolte ai più piccoli come “Il fungo velenoso” dell’editore Julius Streicher, praticamente specializzato in pubblicazioni antisemite. Questo libro a vignette si apre con l’immagine di una madre tedesca che insegna al figlio a riconoscere i “funghi buoni” da quelli “cattivi”, così come deve saper distinguere ariani “buoni” ed ebrei “cattivi”. Questi albi erano diffusi anche nelle scuole e insegnavano a bambini e ragazzi a riconoscere gli ebrei e a difendersi da essi.

il fungo velenoso   fungo velenoso 1  fungo velenoso 3

L’arte di regime nasce su indicazioni chiare e semplici dettate dalla Camera di cultura del Reich, indicazioni che sono state seguite alla lettera dagli artisti tanto da trovarci noi oggi di fronte a uno stile pressocché spersonalizzato. L’uniformità stilistica garantiva la sua immediata comprensione e la non fraintendibilità.

L’arte che diffonde il regime nazista è improntata sulla figurazione con toni retorici e classicheggianti.

Protagoniste sono quasi sempre figure umane che personificano anche i concetti astratti: si tratta di corpi giovani, fieri e forti ispirati agli atleti.

Gli uomini e le donne rappresentati nelle opere d’arte nazista sono soldati coraggiosi che credono nella grandezza della Germania e se ne sentono parte, sono famiglie ariane basate sulla purezza della razza che conducono una vita semplice e sana in campagna  e alimentano la grande retorica del “Volk”, inteso non solo come popolo unito ma anche come ritorno alle origini, anche agricole, della civiltà tedesca.

Adolf Wissel, La famiglia contadina Kahlenberger, 1939

Adolf Wissel, La famiglia contadina Kahlenberger, 1939

Il Nazismo si serve molto di architetture grandiose e di sculture monumentali: si tratta ancora una volta di opere che personificano gli ideali del partito nazional socialista. Il gigantismo di architetture e sculture crea nel popolo un forte senso di appartenenza a una grande nazione vincente e queste sculture monumentali in particolare sottendono l’idea del popolo compatto e allineato come un sol uomo. Gli scultori ufficiali sono Josef Thorak e Arno Breker.

josef Thorak Comradeship

Josef Thorak, Comradeship

Arno Breker Esercito e Partito

Arno Breker, Esercito e Partito

Esiste solo una testimonianza fotografica  di un’opera particolarmente significativa: il trittico Das Opfer, I martiri realizzato da Wilhelm Sauter nel 1936 che è andato distrutto nel bombardamento inglese nell’autunno del 1942.

Wilhelm Sauter, Das opfer, 1936

Wilhelm Sauter, Das opfer, 1936

La scelta stessa della struttura a trittico è significativa perchè rimanda all’arte sacra come del resto il suo titolo.
Nell’opera vengono accostati soldati del fronte della prima guerra mondiale, al servizio dello Stato Tedesco, a soldati politici, SS e SA, i militari del partito Nazional Socialista. Questo accostamento contribuisce a sovrapporre nell’immaginario dei tedeschi il partito con lo Stato. Si tratta di un’operazione sottile quanto importante.

Esiste anche un manifesto, molto diffuso nella Germania Hitleriana, che rappresenta Hitler come un Messia, riprendendo l’immagine cristologica di Gesù trionfante sulla morte. Il vessillo crociato di Cristo viene sostituito dalla bandiera con la svastica e la colomba dello Spirito Santo dall’aquila imperiale. I militari sullo sfondo risultano come una massa compatta come si diceva prima e si arriva a identificare il popolo tedesco con i soldati del Reich: ogni tedesco è invitato a combattere per la patria.

Hitler Es lebe Deutschland

Questa ricerca di legittimazione del nazismo nel sacro non è limitata all’ambito artistico: il motto stesso sulle fibbie delle cinture delle SS era Gott mit uns, Dio è con noi.

Una teoria forse un po’ estrema ma da prendere in considerazione in un’analisi ampia è quella presentata nel documentario del regista svedese Peter Cohen, “Architecture of Doom” (titolo originale “Undergångens arkitektur”, ne ho parlato qui) secondo la quale nel suo delirio di onnipotenza Hitler, identificando gli Ebrei come i prescelti di Dio, volesse eliminarli per sostituire il proprio popolo ad essi.

Anche nell’analisi del rapporto fra Arte e Shoah, è importante risalire alle origini: prima di capire come l’arte non allineata con l’ideale nazista sia stata bollata come degenerata e eliminata dalla circolazione, è necessario capire questi mezzi con i quali quest’idea è stata instillata nelle menti dei tedeschi.

Da sempre l’arte si presta a strumentalizzazioni da parte del potere a causa del suo grande potenziale comunicativo, della sua forte presa emotiva e del prestigio che conferisce alle idee che le si accompagnano.

Capire questo potenziale permette di accedere a un livello più profondo di lettura delle opere e di comprensione delle idee che si accompagnano loro.

E magari aiuta a riconoscerle.

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] http://www.yadvashem.org/yv/en/education/languages/italian/lesson_plans/germanys_sculptor.asp

THE ARCHITECTURE OF DOOM. La filosofia nazista della bellezza attraverso la violenza

Noi dobbiamo creare l’Uomo Nuovo così che la nostra razza non soccomba alla degenerazione dei tempi moderni

Adolf Hitler, 1935

The architecture of doom

L’arte ha avuto una funzione importante  per la comunicazione del regime nazista ma non si immagina fino in fondo quanto.

Può aiutare ad avere una diversa visione sul tema “Architecture of Doom” (titolo originale “Undergångens arkitektur”) un film-documentario scritto, prodotto e diretto dallo svedese Peter Cohen nel 1989 e premiato l’anno successivo alla Berlinale, che purtroppo non è stato ancora tradotto in italiano (esiste soltanto in Inglese, tedesco, svedese e portoghese) né diffuso nel nostro Paese.

Il film esplora l’ossessione di Hitler per l’arte, dalle sue prime prove frustrate come artista, alla sua profonda conoscenza di artisti e movimenti fino alla strumentalizzazione che ne ha fatto a fine di propaganda politica nell’intero corso del suo regime.

Un acquerello di Hitler

Un acquerello di Hitler

un acquerello di  Hitler

un acquerello di Hitler

Hitler ha sempre inseguito un ideale di bellezza classico che ha cercato di replicare ovunque intorno a se: nelle arti visive come nell’urbanistica, come nelle coreografie di discorsi e celebrazioni politico-militari che lui stesso progettava. La sua visione era quella del popolo tedesco come un corpo solo e a questa visione partecipava anche la sua passione per l’architettura che lo accompagnò tutta la vita. I suoi progetti erano architetture solenni e imperiali e anche queste dovevano essere un punto di riferimento forte per il popolo tedesco: edifici che creassero un senso di appartenenza e compattassero il popolo. Quello di Hitler era un sogno corale.

adunate naziste

Il 18 luglio 1937 inaugurava a Monaco la mostra “Entartete kunst” (arte degenerata) 650 opere di 112 artisti  non in linea con le teorie estetiche naziste, opere requisite da musei e collezioni pubbliche di tutta la Germania. La mostra, dal taglio fortemente “didattico”,  viaggiò per quattro anni in Germania e in Austria e fu visitata da 3 milioni di persone. In questa esposizione  c’era tutto il pensiero hitleriano e il suo rapporto con l’arte. Cubismo, espressionismo e tanti altri movimenti artistici non ispirati a canoni di ordine, regolarità, pulizia formale erano considerati sintomi di un malessere della società che doveva essere “curato”. La mostra sottolineava come tutta l’Europa fosse pervasa da quest’arte “corrotta”, che celebrava il brutto e si allontanava sempre più da quella che avrebbe dovuto essere la vera -secondo il pensiero Hitleriano- funzione dell’arte: la celebrazione della grandezza della Germania e del suo popolo ariano. Solo la Germania poteva invertire questa tendenza e risanare l’arte tornando a quel classicismo celebrativo dei fasti nazionali che Hitler proponeva come modello.

folla all'inaugurazione della mostra "Arte degenerata"

folla all’inaugurazione della mostra “Arte degenerata”

Tutto ciò che esulava da questo canone di bellezza fatto di pulizia formale, eleganza di stampo classico  e di celebrazione della prestanza fisica, era da eliminare. Ecco la parola chiave: “eliminare”.

Come dichiarò Hitler all’apertura della Casa dell’Arte Tedesca nel 1937: “Noi abbiamo dato all’arte nuovi, grandi compiti”. La missione di creare una nuova estetica era alla base dell’ideologia nazista e aveva come obiettivo finale quello di creare un nuovo mondo più bello, puro, sano, pulito. Ed ecco altre due parole chiave “bello” e “pulito” che insieme alla già citata “eliminare” delineano un quadro che si fa via via più agghiacciante.

Prima l’eliminazione delle opere d’arte non conformi poi delle persone “non conformi”, malati, disabili fino agli ebrei. Non a caso i ritratti d’avanguardia, nella mostra “Entartete Kunst”, erano accostati a foto di deformità fisiche in un paragone al di fuori di ogni senso di umanità e di moralità.

paragoni fra opere d'arte degenerata e handicap fisici

paragoni fra opere d’arte degenerata e handicap fisici

paragoni fra opere d'arte degenerata e handicap fisici

paragoni fra opere d’arte degenerata e handicap fisici

"Può questa essere chiamata vita?" Il concetto nazista di eutanasia

“Può questa essere chiamata vita?” Il concetto nazista di eutanasia

Hitler, lui per primo artista e appassionato d’arte (e appassionato in questo caso è un termine riduttivo), conosceva bene il valore dell’arte, soprattutto dell’arte “degenerata” e il suo potenziale eversivo, quindi non fece mai distruggere le opere d’arte non in linea con la sua politica culturale ma le fece semplicemente sparire.

In quest’ottica perversa rientravano anche le camere a gas: strumenti per rendere più bello il mondo attraverso la violenza eliminando i nemici del nazismo e della sua presupposta “purezza”.

Ogni documentario della propaganda nazista era ricco di paragoni con la bellezza e con opere d’arte, come quello della presentazione del gas Zyklon B che sarebbe poi stato usato nelle camere a gas e che veniva indicato come un “potente ed efficace antiparassitario” che in pochissimo tempo avrebbe potuto eliminare quei tarli che distruggono i begli oggetti dei tedeschi (e l’esempio indicato era una scultura lignea).

Parlare di bellezza e di arte si è rivelato in questo contesto storico pericolosissimo e purtroppo efficacissimo.

Se tutti i totalitarismi hanno strumentalizzato l’arte ai fini di propaganda nessun regime come quello nazista ne ha fatto un credo, l’oggetto di una depravata missione di rinnovamento della Germania in nome della purezza e della bellezza.

Architecture of doom”, attraverso una narrazione chiara e ritmata ma non incalzante e innumerevoli fondamentali filmati e foto d’epoca riesce a restituire con un climax ascendente il disegno di Hitler.

Il documentario non prende in esame soltanto le arti figurative ma anche il rapporto del nazismo con la musica e l’architettura, sempre all’interno dell’epos della nuova Germania dominatrice riuscendo nel difficile intento di scattare una fotografia realistica del contesto storico-culturale senza tingerlo di toni emotivi ma mantenendo un’oggettività storica che è preziosa per la comprensione dell’incomprensibile.